C’è chi ormai a stento sopporta l’insostenibile peso della leggerezza della musica che giornalmente ci viene proposta dai mainstream televisivi o dalla radio; c’è chi solo ora s’è ripreso dal ‘solecuoreamore’ e deve quotidianamente fare i conti con le onnipresenti ‘tre parole’, che magari hanno preso la forma di una “sei immensamente Giulia”. Ma in fondo serve solo un po’ di coraggio, un movimento deciso del dito sul pulsante di spegnimento della TV, un cambio radicale di frequenza delle onde radio… e l’incubo finisce.
Basta veramente poco per dimenticare le facce di un jet che sono figlie della politica del ‘riempire col vuoto’. Non resta che scavare solo un po’ più in fondo, fin dove le note diventano meno conformiste e le parole più dense di significato. E’ in questo sottosuolo più confortante che potremmo trovare il disco di Luigi Pecere, che fa parte di quella schiera d’artisti chiamati cantautori, cantastorie, altrimenti ‘musicisti impegnati’ – insomma, chiamiamoli come vogliamo – il Nostro è uno di quelli che danno alle parole (in alcuni testi ha collaborato anche Gianluigi Grossi, giornalista e già collaboratore con i Matrioska) un valore ed un’espressività particolare; il testo come storia che divide il primo piano della scena insieme alla musica, in una sinergia ancor più inscindibile.
Sono canzoni nate con la chitarra in mano, magari nei momenti di riflessione, ma che allo stesso tempo suonano ‘fresche’ e coinvolgenti, grazie anche agli arrangiamenti della Matricula Italiana, numerosa band all’interno della quale troviamo membri dei Matrioska come Luca Specchio, Antonio Di Rocco, Mauro Magnani, il tastierista dei Vallanzaska Christian Perrotta, i membri del Riddle Trio – anima jazz della band – Steve Palmieri, Dario Benzoni e Jacopo Bertacco.
“L’amo”, musicalmente, è un interessante ‘melting-pot’ d’anime diverse, dai chiari riferimenti ska, fino alle sonorità più jazzy (come nel brano strumentale “Renato”), ma c’è anche del tango e passaggi di walzer, come anche arrangiamenti curati in uno stile continuamente ‘metamorfico’.
Come detto prima, le liriche assumono ruolo centrale nel discorso che si sviluppa nel disco, i temi trattati sono diversi: in “Mare clandestino” si tratta quello dell’immigrazione vista dagli occhi di chi è costretto a lasciare la propria terra su una carretta del mare, ma si parla anche della condizione dell’anziano quando diventa un ‘peso’ per la società contemporanea, troppo intenta a guardare avanti nella fretta di un mondo futuristico per dare retta e tempo a chi di tempo alle spalle ne ha ormai tanto. Ma c’è spazio anche per l’amore, come nel brano di chiusura “Per banalizzare”, che - tra l’altro - di banale non ha proprio niente…
All’esordio discografico, Luigi Pecere mette insieme mezz’ora di brani di tutto rispetto, curati, talvolta ironici, impegnati e mai pesanti, merito anche - occorre ribadirlo - degli arrangiamenti dei La Matricula Italiana, che danno vigore e spessore al progetto ‘concettuale’ di fondo.
A chi piace ascoltare della buona musica che esprima in qualche modo contenuti e valori (più o meno condivisibili, viene da se…) non si può far altro che consigliare questo disco, per tutti gli altri si può dire solo… chiuaua!
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La recensione L’Amo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-10-17 00:00:00
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