Sto ascoltando Jean Gab1 con degli amici francesi quando arriva il pacco con il cd dei Continuorilasso, da Rovigo. Visto che siamo in relax e in onda hiphop (prima nel lettore aveva girato l’ultimo dei megadivi megarispetto IAM), ho l’infelice idea di proporre un ascolto collettivo. Stranamente i francesi si dimostrano curiosi e ben disposti verso qualcosa di estero, per di più d’italiano. Spengo proprio mentre Jean Gab1 ringhia “J’t’emmerde”. Un presagio? Infatti. Il confronto è impietoso. Dopo poche battute e un paio di skip sono costretto a togliere il cd dal lettore e lasciare spazio alla doppia H matrice transalpina e a giustificarmi con un “ma è solo un demo, sono giovani”. Intanto dentro di me penso occristo. Penso occristo perché poi è facile in questi casi venir tacciato di esterofilia, di chiusura e poca indulgenza verso le produzioni indipendenti nostrane che invece abbisognerebbero di sostegno et aiuto. Però. Però non è certo un segreto di quanto l’hiphop italiano mostri alcune carenze e ritardi rispetto al resto del mondo. Lasciamo stare tutto l’hiphop alieno chez Definitive Jux (Cannibal Ox, El P, Aesop Rock) o Warp (Prefuse 73, Antipop Consortium) davvero e comprensibilmente anni luce avanti, lasciamo stare la deriva Uk garage in Inghilterra. Restiamo in ambito strettamente hiphop. Come vanno valutate le piccole autoproduzioni d’hiphop italiano? Dove va posizionato l’ipotetico grado zero in una ipotetico metro di giudizio? Va considerato in una dimensione europea o strettamente nazionale? Capite da voi. Nel primo caso questo cd.... beh, non infierisco. In ambito nazionale. Ok. Non pessimo, risultato d’insieme così così. Di certo lontano da poter nutrire un suo culto basato sul passaparola o diventare riconosciute starlette del circuito (perché gente altrochè valida oltrechè guasta) tipo, nomi facili facili e con le dovute differenze, El Presidente o Dj Gruff. Il cd dunque. Hiphop soft-underground nelle intenzioni, debitore tanto di alcuni Sottotono che di altra roba alla FritzdaCat o Bassi Maestro. Testi e metriche sembrano rimasti a quanto già si faceva (meglio?) a metà degli anni’90. Molti (troppi?) skit di interventi di personaggi “della scena”, a inframmezzare i pezzi e voler riprodurre l’idea di ipotetica grande famiglia, con il risultato di non far mai decollare davvero il ritmo, già di per se zoppicante. E allora. A tratti l’ascolto è davvero fastidioso e skippo via che è un piacere (curioso comunque notare come il gruppo abbia deciso di mettere le tracks che reputo peggiori proprio all’inizio di cd).
Uniche tracks che si discostano dalla media sono “Non più di un minuto” traccia guardacaso prodotta e con ospite Esa El Presidente al mic: ottima atmosfera morbida/torbida in downflow; “Guardarsi” dai buoni suoni e metrica ben articolata; “Di solito a Rovigo” che ci prova a guardare alla sopracitata Def Junk, soprattutto nei suoni e nella produzione ‘electrodispari’.
Giudizio complessivo? Su 10 tracce vere e proprie se ne salvano 3 a medi voti, e (forse) un altro paio di stretta misura. Se basta per acquistare o riascoltare il cd decidetelo da voi, a secondo della vostra nazionalità e dalla quantità e grado di hiphop che siete soliti ascoltare.
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La recensione Al sole di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-10-23 00:00:00
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