Emulare gli esordi de L'Orso non può che portare ad un risultato disastroso
Partiamo già malissimo con la bio che recita “Un ragazzo di 16 anni a cui piace l'indi e fa canzoni indi con un chitarrino” e già il ragazzo della stazione si inimica la mia perplessità cosmica. Provo a passare oltre –con enorme fatica– a questo scivolone abnorme e mi metto ad ascoltare queste tre tracce che, a detta della descrizione sulla pagina artista, dovrebbero essere una trilogia. Mi rendo subito conto, non appena iniziato l’ascolto, dei difetti di questo ep: emulare gli esordi de L’Orso non può che portare ad un risultato disastroso, così come suonare frettolosamente senza, molto banalmente, andare mai a tempo, come in “La Ragazza della Stazione”. Se si sceglie, infatti, di costruire un brano sopra due accordi, sarebbe apprezzabile suonarli in maniera pulita e rotonda, senza sbavature o continui cambi ritmici che sporcano il tutto. I testi poi andrebbero totalmente rivisti (“a furia di guardarci siamo diventati ciechi” della già citata traccia di apertura, o “quante volte ho sputato nelle tragedie sul binario”, che fa molto Vasco Brondi, di “L’alba del ‘98”), pregni come sono di quella pre-adolescenza che già altre band hanno abbondantemente sviscerato (ed alcune, ahimè, continuano a farlo).
Insomma, è tutto da rifare, a meno che non ci si accontenti di canticchiare per le sedicenni tutte cuore e paranoie ma, anche in questo caso, sarebbe indicato farlo meglio.
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La recensione I Ragazzi della Stazione di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-07-01 08:00:00
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