Non mi piace ballare.
Solo una persona a cui non piace ballare (ad un livello che lambisce la patologia!) sa cosa significa finire in un posto dove la gente si reca unicamente per ballare.
Entri e hai due pensieri: Il primo, tanto vecchio da non ricordare quando lo hai concepito, in modo rassicurante e meschino ti legittima a non fare quello che non ti va, ad assecondare la tua apparentemente naturale inclinazione alla rigidità.
Il secondo, longevo anch’esso, irretisce la tua parte più sensibile al fascino del qualunquismo: se lo fanno tutti e sembrano divertirsi, magari è vero.
Ascoltate le controparti devi decidere.
Puoi scegliere di rimanere seduto in un angolo ad osservare gli altri ballare, convinto che un’ austera staticità sia l’ aspetto che meglio ti racconta, o scendere in pista, magari per poco, ma ringiovanito, alleggerito e separato da te stesso.
Il modo più onesto di avvicinarsi a questo cd è quello di farsi trascinare rimandando le opinioni: bisogna mettersi a ballare prima, bisogna superare un pregiudizio.
I Phreaky si divertono.
Quello che fanno, al di là dei categorie che leggono e dei progetti che abbozzano, sopra tutto, è divertirsi.
Ai Phreaky piace suonare e chi li ascolta se ne accorge subito.
Ogni canzone è una storiella surreale, un piccolo racconto su cui si distendono le minuscole e invisibili forme di ogni giorno, fatta di ritornelli orecchiabili, voci, rumori e campionamenti.
Alcune piccolezze quotidiane ritornano spesso: il cibo, che sia lo spunto per raccontare una cena di Natale o solamente faccia la sua comparsa sullo sfondo di un’altra vicenda, la città, “una città fatta a paese” o un insieme di comuni scandito come un ansioso appello.
Scherzano con la musica prendendo in giro le esagerazioni e chiusure di genere: il rap è didattico e vagamente retorico, il rock è incazzato, il pop è disimpegnato e sorridente, ma frenano quando si tratta di imboccare la loro di strada.
Ci sarebbe da eliminare tante cose e da riorganizzare e indirizzare quelle che rimangono, ma quello che mi sembra più urgente è evitare gli eccessi giovanilistici: la strafottenza e presunzione che caratterizzano bene un’età, perché impediscono l’accesso a direzioni che potrebbero divenire attraenti con il tempo.
Questo cd mi è piaciuto in un modo nuovo, senza neanche capire perché, imprevedibilmente, mi ha rallegrata e ha suggerito qualche sorriso.
L’effetto è stato quello di una serata di danza. Di una serata di danza per me.
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La recensione Spersonalized di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-11-14 00:00:00
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