Ne passarono di lune da quel dì che incontrai questo “invisibile”demo ancora sporco di fotocopiatrice. Storsi la bocca alla vista di un misero oggettino non identificato, mezzo strambo e poco chiaro, e dal nome difficile. Così me ne sono dimenticata. E non perché “Sliding on the barents sea” rappresenti un lavoro artistico di bassa qualità, semplicemente ti dimentichi dei catanesi H.c.-b. , per quell’incomprensibile senso di perdizione che ti avvolge una volta dentro queste 14 tracce. Un tunnel infinito, dai tratti narcotici, ogni tanto miscelati al frullatore, da cui non vedi l’uscita e ti scordi di essere altro dal suono. Programmatico e minaccioso già il titolo della prima traccia, “Survivor”, che mette in sequenza 11’38”di lente chitarre, synth e incursioni di noise rock a mò di indicatori di quello che caratterizzerà il resto dell’album. Il raggio d’azione dove si sbizzariscono i creativi e sconnessi tizi in questione ingloba un armadio di strumenti sonori che combina basso a sintetizzatore, interferenze radio ad arpeggi alla pianola, fruscii, deliri alla tromba e voci demoniache alla rovescia, delineando un patchwork musicale fitto di incursioni eppur fuori da ogni stilema retroattivo. “Rumore sposato al silenzio” il tema chiave, ben oltre le coordinate della gioventù sonica, decisamente affini invece a tutto ciò che sta”dopo”, spinti in uno spazio sperimentale che fa a pezzetti jazz, space rock, psichedelia, ambient islandese e pellicole cinematografiche memori di Star wars e Il pianeta delle scimmie. Proprio la traccia “Valazzo” ben ricrea l’atmosfera apocalittica di una colonna sonora tra le galassie, visionaria e solenne nell’epicità tipica del glorioso levarsi di trombe in crescendo che ha segnato per sempre la generazione degli appassionati cinefili di fantascienza( non a caso il primo e precedente lavoro degli H.c.-b. omaggiava un cortometraggio di Lucas). Ma non si limita a questo l’inclinazione della band catanese: la suspense”universale” si assopisce su inaspettate raffinatezze come “More blue juice” quasi Mogwai , debitamente Sigur Ros anche se per poco (forse un caso forse no, le tracce appena numerate #1,#2,#3) e si amplia in “AM-978 khz.”, marasma di tenebrosi loop su cui ogni tanto sorvolano elicotteri in clima di guerra. Poca accessibilità alle porte della dimensione H.c.-b., coraggio richiesto e perdita di coscienza necessaria. Infine, il consapevole dubbio”se ne usciremo vivi”da questa odissea orchestrale.
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La recensione Sliding on barents sea di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-12-07 00:00:00
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