Otto schegge di artica new wave retrodatata che tanto profuma di devozione ai beniamini di una vita.
L’imponente iceberg azzurro che troneggia in copertina sintetizza alla perfezione le coordinate liriche e musicali dei Branches. Il gelo monumentale, affascinante e annichilente al contempo, ritorna ad essere un infallibile generatore di desolazioni umorali e decibel mai baciati dal sole. Siamo inesorabilmente dalle parti della new wave più gelida e notturna che trova nei Cure e nei Clan Of Xymox i riferimenti più riconoscibili.
Ma non ci sono solo loro a sputare freddo e crepuscolo sul secondo lavoro della band siciliana, che al gran bel sole della propria terra natia preferisce di gran lunga le suggestioni più artiche degli anni ’80: dentro le striature siderali di “Sedna” trovano posto i Simple Minds più visionari (quelli di “Sons and Fascination”, tanto per capirsi), i Cure più fantasmatici alimentano le ombre di “Wake” e “All that is left”, che rubano candidamente gli effetti di chitarra alle pedaliere di Robert Smith senza però riverberarne lo stesso talento immaginifico, la sensibilità melodica degli OMD marchia a fuoco il synthpop della più ballabile “Declining days” mentre la conclusiva “On an ice place” – insistendo su frequenze curiane – sigilla, fin dal titolo, in un impeto di decadentismo dark-romantico, il contenuto concettuale del disco.
Otto tracce stilisticamente retrodatate che tanto profumano di devozione ai beniamini di una vita.
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La recensione old forgotten places di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-06-24 08:00:00
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