Non una band per gli integralisti, gli Hobos: ma la loro originale miscela di garage e rockabilly col rock da stadio ha tutte le qualità per piacere a un pubblico molto eterogeneo
Non certo una band per gli integralisti, gli Hobos. Ma è proprio questo il bello. Perché garage, rockabilly, punk sono generi che si sono spesso e volentieri mescolati tra loro, ma che raramente hanno incontrato le sonorità del rock più radiofonico, o da stadio alla Foo Fighters o Kings Of Leon, per intenderci: e meno che mai in Italia.
Ecco, i piemontesi Hobos, piuttosto consapevolmente, rompono questo tabù, sfornando un disco d'esordio che, pur senza grandi produzioni alle spalle (ma questo non significa nulla: la registrazione è di prim'ordine), ha le qualità per piacere a un pubblico molto eterogeneo.
Per prima cosa: un gran tiro, merito in particolare del batterista Max Ferraro. Secondo: un buon cantante, Marco Cassone, magari non eccessivamente virtuoso (mentre lo è come chitarrista) ma perfettamente funzionale al progetto. Terzo: più di un brano con la caratura del singolo ("Out of the way", "Waiting for somebody" e "Change again", ad esempio, sono pezzi che non sfigurerebbero nelle playlist di una Virgin Radio, mentre "New me" sembra pensata per essere cantata in coro a squarciagola). Quarto: un suono già maturo e fortemente credibile, che svela le finezze in fase di arrangiamento ad ogni nuovo ascolto.
Finezze che prendono elementi da questo e da quel genere, spaziando dagli anni Cinquanta ai Novanta senza soluzione di continuità, e che senz'altro potrebbero far storcere il naso a qualche purista. Ma il risultato è talmente personale, orecchiabile e ben amalgamato che non si può che dare ragione agli Hobos. E c'è da credere che, se il disco riesce a girare nel modo giusto (personalmente glielo auguro di cuore), possano essere in molti a concordare.
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La recensione Not A Safe Place di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-06-10 09:00:00
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