Tanti gruppi tra quelli che si decidono a registrare un demo per poi recapitarlo, tra l’altro, a noi collaboratori di Rockit, hanno un passato, più o meno fiero, da cover-band. Cominciano nei pub locali, spesso con successo, a volte ‘svendendosi’ per la classica formula pizza-birra-rimborso spese. Nei casi di particolare elezione la voglia di proporre le proprie idee e canzoni originali trasporta i coraggiosi a rimettersi in discussione, intraprendendo la via difficile dell’autoproduzione, in cui vera certezza non c’è, se non nella speranza del proprio talento.
Pappardella iniziale dedicata ai Decoder che, come molti altri, si fanno le ossa rivisitando pezzi di Cure, Depeche Mode e Radiohead, per poi concentrare i propri sforzi in un cd attualmente in preparazione di cui ho in assaggio un advance di quattro brani.
I riferimenti a certa new-wave elettronica degli anni ’80 appaiono da subito ingombranti, sicché al primo ascolto mi preoccupo di scrivere loro per illustrare le mie perplessità: ho paura che il promo sia capitato nelle mani sbagliate - mi porto appresso terrificanti ricordi color pastello di giacche con spalline enormi, calzoni ‘a saltafosso’ e ciuffi da new-romantic coi frisè - ma poi riprometto attenzione.
La più grossa pecca di questo lavoro, come dicevo a Luca (proprio il tastierista!?), sta nel mixaggio: va tirata su tutta la sezione ritmica, e in particolare il basso, in quanto le tastiere si mangiano tutto - che poi non si può ignorarle, a meno che non adoriate quei suoni un po’ epici e ceffi from eighties. “Volo da solo” è appunto un campionario stilistico di quegli anni: nei ritmi, nella scelta dei suoni, nei riff ribattuti a oltranza, nel solo-tapping della chitarra che speravo estinto coi Van-Halen! D’altro canto la linea melodica della voce è davvero bella, così come su “Un libero pensare”, il pezzo migliore, in cui tutti gli strumenti si incastrano in maniera più omogenea, la chitarra dà il meglio sulla ritmica e il ritornello è efficace (seppure la metrica a volte tende un po’ a stancare causa rima baciata).
“Luce nell’ombra” parte senza accordi gotici da giochino ‘fantasy’: tutto è più rilassato e si apprezza la lodevole ricchezza armonica e ritmica di cui il gruppo dispone; si sente l’affiatamento e ne viene fuori una forma musicale poco scontata, mutevole, quasi progressiva, con il suono del sintetizzatore alla fine del brano che pone i confini tra ricerca e arretratezza musicale - e se permettete un consiglio é questa la linea da seguire.
A questo punto mi interesso dei testi, ma non li trovo neanche sul sito; peccato, perché si fa un po’ fatica a seguirli essendo parecchio simbolici e metaforici. Colgo l’occasione, però, per ascoltare anche “Onda nuova” che non è presente sul cd.
Un giudizio da rimandare quindi, per un gruppo che ha sicuramente un buon margine per migliorare l’effetto se saprà valorizzare quanto di buono c’è nei brani; al costo - che capisco e suppongo doloroso, di liberarsi di qualche scheletro (e di qualche giacca pastello), nell’armadio.
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La recensione demo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-01-12 00:00:00
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