Spesso ho l’abitudine di leggiucchiare qua e là prima di scrivere di un disco, fosse solo per informarmi su band che non conosco. Così, da copione, anche questa volta metto su il cd in sottofondo per un primo ascolto distratto mentre preparo lo scheletro della recensione; scrivo i titoli, leggo la biografia, spulcio vecchie recensioni e anche i pareri degli altri ragazzi che hanno commentato il dischetto - che intanto gira nello stereo e mi infarina le orecchie per un ascolto più attento.
Sicché succede che leggo un gran bene di questi Friday Star, davvero lanciatissimi: produzione perfetta (Ammonia, mica una label così...), concerti a sostegno di nomi altisonanti (Propagandhi, Queers, Shandon, solo per citarne alcuni), tour in Giappone imminente e, nientemeno, due serate a Shibuya! E anche le recensioni lette finora riportano giudizi che vanno dal positivo all’entusiasta. Intanto le prime tracce che filtrano oltre la cortina della mia disattenzione, si presentano già lungo le coordinate dichiarate da band ed ascoltatori: Samiam, Ataris, Alkaline. Già, emo-punk, di quello bello melodico, di quello che, sempre a detta di tutti, pare proprio venuto ‘from the U.S.A.’, dove il fenomeno è ormai incontenibile.
E sono tutte cose verissime: la band ha sound e melodia, ‘fa la sua figura’ e se non fossi meglio informato direi che fossero gli States a dar loro i natali. Il disco comunque non ha momenti di stanca e tira davvero, con canzoni fatalmente destinate ad esser canticchiate nella doccia, in ufficio, o nella macchina. Vero è anche che la band non propone nulla di particolarmente nuovo - è pur sempre emo - ma che lo fa davvero con tutti i crismi. Ci sono quindi difetti? No, se vi piace l’emo più melodico e se le formazioni nominate qualche riga più sopra vi garbano; se invece siete fra coloro che privilegiano il lato più hard-core del genere, allora non troverete nulla che valga realmente la pena approfondire.
E tutto nella band, idioma compreso, fa ben sperare nella loro esplosione fuori dall’ Italia, magari non negli States - che loro di simili formazioni ne han già troppe -, ma altrove hanno ottime carte da giocarsi, dato che il panorama emo dello Stivale rimane ancora un po’ asfittico, almeno da parte della domanda.
E se un ortodosso come il sottoscritto non può far a meno di riconoscere gli evidenti meriti di questo disco - e di questa band - tutti gli appassionati non possono far altro che buttarsi ad acquistare il disco.
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La recensione Defenceless di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-01-21 00:00:00
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