Un libro, una casa e le tante bellissime storie che ci stanno dentro.
“Dieci anni prima, quando Johann Veraguth l′aveva comperata, e vi era andato ad abitare, Rosshalde era una vecchia residenza in abbandono con i vialetti del giardino coperti d′erbacce, le panche invase dal muschio, i gradini fatiscenti e un parco ormai tanto inselvatichito da essere impenetrabile. Su quella proprietà di circa otto iugeri non c′era altra costruzione oltre alla bella casa padronale, un po′ in rovina, alla stalla e a un piccolo padiglione a forma di tempio nel parco, il cui portale pendeva sghembo dai cardini nascosti e le cui pareti, un tempo tappezzate di seta azzurra, erano ricoperte di muffa e muschio” (“Rosshalde”, Hermann Hesse)
Se sai cercarle, le storie sono ovunque. Se tieni gli occhi e le orecchie aperte puoi trovare racconti, romanzi, epistolari, canzoni, in ogni stanza, corridoio, cassetto, giardino, in ogni crepa in cui possano andarsi a infilare ricordi, parole e sentimenti.
E poi si possono trovare in un libro. Bella scoperta, direte. Sì, ma non sto parlando della storia già scritta, bensì di quelle, infinite, che puoi scrivere tu infilandoti fra le pagine, aprendo finestre, porte e scatole piene di lettere, giocando al gioco antico e bellissimo di immaginare racconti che partono da altri racconti, che partono da altri racconti, che ti portano in un labirinto di vite, luoghi, amori, voci...
È il gioco – serissimo - che fa qui Federico “Jackeyed” Babbo: prendere un libro ed entrare nelle sue stanze vuote, nei suoi giardini abbandonati, negli spazi fra le parole. Lo fa con canzoni che hanno tutto il calore dei racconti tramandati in famiglia, e insieme quel gusto un po' spettrale delle storie che hanno aspettato tanto tempo che qualcuno le ritrovasse.
Storie che, come nelle più classiche raccolte di novelle – e nei più classici concept album – sono legate da un denominatore comune, in questo caso la villa del romanzo: così, dopo il corridoio, percorso con la circospezione di chi sta ancora decidendo a quale porta bussare per prima, dell'intro “Hallways redolent of cooking and coffee” (titolo come tutti gli altri preso dal libro) veniamo invitati a entrare nella “Room 108”, in cui comincia a dispiegarsi la poetica di Jackeyed, fatta di folk ballad delicate, introspettive e un po' cervellotiche (forse è ora di ricordare che il nome è preso da una canzone di Micah P. Hinson, e non a caso) ma non solo.
Se infatti brani come “Dismal Cheap Room” e “It will take a long time”, quest'ultima con Francesca Amati degli Amycanbe alla voce, portano avanti il filone dello struggimento lo-fi, c'è spazio anche per strizzate d'occhio al funk (“Hopes and Expectations”) e ad atmosfere morriconiane (“Where are you now, Pierre?”), per inaspettati nervosismi strumentali che spezzano placidi pezzi di puro pop (“Smiled and Remember”) e per brani cangianti come “Carpet beating racks” - da moderno elettrominimal a trionfo di fiati anni 70 in quattro minuti -, in un'esplorazione che va ben oltre le quattro mura di una casa, in un atto creativo che abbatte pareti (musicali e non) come sono in grado di fare solo il miglior songwriting e il più sapiente storytelling.
Quelli che ti fanno venire voglia di riaprire subito il libro, di premere subito repeat, perché una volta non basta per trovare tutte le storie nascoste.
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La recensione Rosshalde di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-08-24 00:00:00
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