Il secondo lavoro della blues rock band capitolina, duro, urgente e immediato
Si può suonare, e interpretare, il blues in tantissimi modi: tra il country bluesman dimesso e malinconico e l’hard rocker sdrucito e incazzato, nonostante gli accordi ed i giri siano sempre gli stessi da più di un secolo, c’è uno spettro ampissimo di stili e forme d’espressione.
I Super Dog Party si collocano esattamente nel mezzo di questo spettro, con il loro blues rock duro ma mai quanto il metallo, diretto ma mai violento, spesso urlato ma mai aggressivo. Attivi da cinque anni e con alle spalle un’apprezzabile attività live, presentano un ep di quattro pezzi di blues rock robusto e distorto, dal tipico sound che –mi verrebbe da dire- può piacere tanto all’adolescente in fissa con i Queens Of The Stone Age (basti ascoltare i due brani iniziali, “Blues Screen of Death” e “Subject Dog Blues”) quanto a suo padre che rimpiange i jukebox e gli anni '70 (tutto il disco, ma in particolare “The Dark Passenger” e “The One Who Knocks”).
L’approccio live della produzione conferisce al lavoro potenza e immediatezza, mettendo in buona evidenza la sezione ritmica, solida e incalzante, ed i secchi riff di chitarra che, per quanto classici, sono quello che deve caratterizzare il genere ed esaltare la band.
In definitiva, anche se l’aggettivo innovativo è quanto di più arduo accostare a questo disco, “Blues Screen of Death” imprime l’urgenza espressiva e l’attitudine verace di questi tre ragazzi, che, citando le loro stesse parole, hanno “più fame di musica suonata che di pacche dei musicologi”.
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La recensione Blues Screen of Death di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-09-08 07:30:00
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