Discorso già fatto, in parecchie occasioni.
Capita spesso di avere a che fare con note stampa prolisse, fastidiose. O peggio. Da dimenticare. Altre volte, invece, risultano utili, miglior ajuto possibile per la stesura di una recensione. Per contrasto. Puntualissime nel sottolineare tutto quello che vorrebbe essere racchiuso nel disco. Ma di cui - peccato - non c'è traccia. Una manna per chi cerca faticosamente di scriverne.
Rare, e conseguentemente accolte con gioja dal sedicente recensore, le note stampa belle, corrette e insieme funzionali. Quelle che, almeno a tratti, danno forma con parole altrui a (autonomi, non condizionati) pensieri propri. Dire/pensare la medesima cosa. Una bella sensazione. Lievemente inquietante.
Qui le due (molto rade) facciate di presentazione del cd sono accompagnate da un'"apologia di una autoproduzione" lucida (nel descrivere una tristemente frequente tipologia di discografico e una situazione complessiva non proprio rosea), (anche auto-)ironica, efficace, cruda senza essere sconsolata e battagliera pur nella piena consapevolezza di quelli che sono possibilità e spazi limitati.
Le righe precedenti solo come intro.
Anche per sottolineare - non ce ne dovrebbe essere bisogno - che i virgolettati successivi non sono miei.
Labiale) è il secondo album solista di y:dk, dopo l'ottimo esordio ">>".
Nuovamente corposo, lungo.
(Quasi) altrettanto eterogeneo nelle forme, ma molto più coeso e compatto negli esiti, meno 'centrifugo' rispetto al precedente. E complessivamente rallentato.
"Labiale) vaga dal dub al tango passando per il blues e il folk". Ma è difficile che l'ascoltatore se ne renda conto: quella presentata come "una musica essenziale e scarnificata, che lascia molto più all'immaginazione che all'udito", infatti, è invece risultato di un'accuratissima stratificazione di tracce, in cui "l'elettronica c'è, ma spesso è celata", soprattutto nei numerosi brani strumentali.
Facile trovarsi persi in "atmosfere, come di consuetudine, plumbee, a volte gelide, sonnolente, forse un po' nevrotiche". Imprevedibilmente rapiti da "Musiche d'ascolto, d'ambiente (?!, ndt), sempre nella penombra".
Un pajo di (riusciti) episodi "lasciano spazio ad un cantato in italiano piuttosto indefinito" ma estremamente interessante; per quanto riguarda la (puntuale) cover, dopo le precedenti riletture di Tenco, "tocca a Ginopaoli: "Dormi", una oscura b-side del genovese, viene travestita in un bossa distorto un po' psicotico e maledeorante"; qualche passaggio ("Petrolchimico...", "Fuera...") si colora di suggestioni orientaleggianti; alcune ideee nei titoli delle tracce sono, al solito, da applausi (incantevole la sola minima variazione di una lettera nella sequenza alfabetica che produce "Amarcore"). Da dimenticare il solo episodio conclusivo, poco incisivo nel testo e quasi sguajato nel parlato 'troppo' emiliano.
In un album molto compatto nonostante la (reale ma non subito evidente) eterogeneità delle forme, come detto, è da incorniciare "Hombretta", irresistibile mix di solare energia e malinconica disillusione, ottima nell'equilibrio tra parole e incedere sonoro. Davvero bella, perla di un lavoro significativo che merita organiche attenzioni. Indipendentemente dalle 'frasi fatte' del "ddr (discografico di riferimento)", dalla non appartenenza "a qualche spocchianicchia post-rock, nu-azz, laptop skacore", dalla "guerra contro l'inevitabilità" e, quando sarà tempo di bilanci, dal numero di copie vendute.
"Musica d'altri tempi. Chissà quando..."
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La recensione Labiale) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-02-23 00:00:00
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