Una candida dichiarazione d’amore verso quella scena musicale bristoliana che segnò, insieme a poche altre, la parte migliore degli anni '90.
Da una musicista che ha improntato una carriera intera sugli intrecci musicali tra bianco/nero, toni caldi/toni freddi e spiritualità/fisicità, era lecito aspettarsi, prima o poi, un progetto artistico incentrato sugli intrecci esistenziali e le relazioni umane in genere, come a voler alimentare quella imprescindibile corrispondenza biunivoca tra musica e vita che, alla fine, costituisce l’insostituibile lievito madre di qualsivoglia slancio artistico votato alla genuinità.
E di genuinità ce n’è davvero tanta nella terza fatica di Susanna “Suz” La Polla, per via di quegli innumerevoli scampoli di vita intramagliati tra le increspature elettroniche di quel suo trip-hop contaminato che succhia sangue dalla semplicità di un pianoforte. Supportata dalla misurata produzione artistica di Ezra Capogna la musicista bolognese asseconda le sue persistenti voglie bristoliane aggiungendoci di tasca propria una bella dose di carnosità soul e tanto, tanto, pop a fare ciccia.
I riferimenti sono sempre gli stessi – e ci mancherebbe – con Massive Attack e Portishead, su tutti, a fare il bello e il cattivo tempo, oltre a echi di Moby nei frangenti più clubbing (“Pure Rapture”) e di Hooverphonic nelle aperture più melodiche (“Anthemusa”), con qualche esotismo sparso qua e là a fare breccia negli impasti dub (“Wall of mist”, “Test of gold”).
Nonostante qualche passaggio ripetitivo nello schema di gioco, soprattutto a livello di vocalità, “Lacework” rimane, nella sua oculata derivatività, una candida dichiarazione d’amore verso una scena musicale che ha segnato, insieme a poche altre, la parte migliore degli anni '90.
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La recensione Lacework di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-11-24 09:55:00
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