Soltanto noi, milioni di stelle e un disco necessario e bellissimo.
Prendimi la mano, proprio ora che non ci tocchiamo più neppure per sentire il conforto di una pelle conosciuta, di un cuore che per anni è stato il mio e il tuo insieme, prendimi e portami verso mondi lontanissimi dove la gravità è il ricordo di ciò che eravamo, e lo spazio è talmente vasto e privo di contorni da farmi pensare davvero che il futuro è qui, necessario e bellissimo, e non possiamo che farne parte: tu e io e un universo di milioni di stelle, sarà impossibile non tornare a brillare come una volta.
Scivolano i sospiri e certi sguardi, scivolano intorno a una galassia lattea e scintillante di psichedelia e pop dall’eleganza cosmica, i sintetizzatori si vestono di blu e argento, seguono le fasi lunari e coccolano esperimenti dance: rincorriamoci in un oceano dreamy per sfiorarci ancora, vuoi? Basta poco, una dolcezza mai stucchevole, una pista poco affollata, un letto morbido e infinito, basta “Stealing” che è un sussurro danzante di promesse, o “Dancing Star” (mixata e coprodotta da Tom Furse dei The Horrors) , ipnotica, sexy e luccicante di elettronica quasi fosse un rendez-vous proprio in mezzo al cielo.
Sei qui mentre la mente sta andando altrove, lo vedo dagli occhi che prendono il colore del ripensamento, lo vedo da “It Was Only Smoke” che sembra rallentare la percezione di ogni cosa, che è una ballata in punta di sentimenti che si spalanca poi, all’improvviso, su un mare di nuvole velocissime che inondano di bianco e speranza questa stanza grigia che ci osserva senza capirci mai. “From The Earth To Above” è gli anni ottanta di beat catchy e sogni tanto grandi da snocciolarsi a puntate, da realizzarsi in mille vite, “Rachel Walks By The Sea” si spinge in immaginari che fondono kraut, space e synthpop in una costellazione potente e generosa, capace di abbracciarti subito senza troppi calcoli, e là e ti aspetta, non fa come te.
“I’ve Got You” è il finale, la lenta, inesorabile marcia che ci riporta a terra: le parole soffiano gentili tra i colori che sfumano, le mani si allontanano, poi gli strumenti esplodono e fanno ciò che è giusto per loro, vanno avanti per sette minuti come fossero eroi al ritorno da un’onorevole sconfitta, pazzi e stanchi, avvezzi al suono e avanguardia del rumore.
Se nel precedente “Dot to Dot” la materia si faceva poesia e cavalcava onde lievi e sfuggenti, qui tutto è più ricco, denso, è come toccare un corpo celeste, scoprirne i segreti e lasciarlo lì, a galleggiare nel cosmo mentre passato e futuro non esistono più: soltanto noi, milioni di stelle e un disco necessario e bellissimo.
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La recensione ΔGO di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-10-28 09:45:00
COMMENTI (1)
una recensione un po' bizzarra