La poetica del sogno ed il fascino del rarefatto si fondono in questo disco ed in questo gruppo senza lasciare spazio ad elementi ancorati al mondo reale (dunque questo non è un gruppo rock). Qui domina il bianco, la regola è la lentezza e se ci fossero le nuvole ci staremmo camminando sopra. Peccato che io credo che sulle nuvole si debba danzare, volteggiando.
Gli Onemandband vengono non dalle nuvole ma da Torino, e mentre fuori la città rumoreggia la lasciano fare, preferendole la dimensione estatica di una cameretta. La musica dei Onemanband è dream pop, synth pop: una grande distesa di tastiere dove possono fluttuare farfalle a tempo di sax, farfalle che si posano su fiori, e fiori che nascono da arpeggi di chitarra. Si spengono le luci, e parte il beat della drum machine.
Anche i testi non danno adito a fraintendimenti, e tutto rientra nell’orbita del sogno. Così compaiono nuovamente farfalle in giardini pieni di fiori, si contempla Venere attraverso un cielo di febbraio colorato di tinte vivide. L’inglese, però, a volte arranca sotto gli errori di grammatica ed una pronuncia che – sebbene sia globalmente più che sufficiente - a tratti non si può definire propriamente esemplare.
Si diceva della dimensione estatica della cameretta. Ebbene, il pregio di questa band è di non ridurre la propria musica ad un livello domestico, ma di permetterle di essere suonata anche dal vivo, grazie ad un mood generale che evita di cadere nel soporifero. Peccato che però tutto il disco risenta in fase di scelta dei suoni di una globale senilità che – questa sì – se non addormenta certo stanca. È per questo che credo che l’obiettivo della band, ora, sia quello di dare una sostanziale nuova veste a dei sogni che, già di per sé (come per esempio in “soulwear”), hanno sicuramente da essere raccontati.
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La recensione The Butterdream (EP) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-04-14 00:00:00
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