Nel caso si volesse parlare seriamente di Giorgio Conte, converrebbe saltare i convenevoli, che è quanto abbiamo proprio intenzione di fare. Anche perché non se ne può più di andare a ripescare le parentele, le canzoni - importanti - scritte nel passato e la scoperta di tanti talenti. Basta così, grazie.
È arrivato il momento di dare a Giorgio Conte quel che è di Giorgio Conte, mettendosi bene in testa che l’avvocato di Asti (ehm…) ha esordito (come cantante, si intende) nel lontano 1983. Vent’anni fa, mica ieri. Due decenni serviti a manifestare con forza il proprio stile, utili ad affrancarsi dai paragoni che da sempre lo perseguitano. Anni che non sono passati invano, ed “Il contastorie” è qui a dimostrarlo.
“Il contastorie” è infatti un doppio cd (sia pure sui generis, vista la durata complessiva del tutto), con agile librettino annesso. Un prodotto completo (multimediale?) il cui merito è senza dubbio quello di fornire il maggior numero di strumenti per avvicinarsi ad un artista ‘a tutto tondo’, che si trova a suo agio sia di fronte ad uno spartito che ad una pagina da riempire di parole. Le pagine del libro, oltre a contenere i testi del cd, offrono una serie di racconti brevi (sedici, per la precisione) e cinque poesie dal retrogusto delicato ed antico, quasi ottocentesco, al cui interno convivono cose e persone semplici; in una sola parola, demodé. Come il disco, quello principale almeno, che si aggrappa al jazz ed alla tradizione cantautorale, fondendoli in un gustoso tutt’uno, in cui le liriche, in bilico tra ironia e sognante poesia, assumono un ruolo importante, se non determinante. Evidenti gli echi del primo Tom Waits, del fratello Paolo (ebbene sì, ci siamo cascati…) ma anche di Georges Brassens (ma le due canzoni cantate in francese, sembrano, più che altro, un omaggio al paese che lo venera come una star) e, di conseguenza, di Fabrizio De Andrè.
Il jazz sembra, però, il terreno privilegiato di Giorgio Conte, bravo ad adoperarsi al meglio nel piegare alle sue esigenze di cantautore le sonorità di un’orchestra quanto mai decisiva. Un’orchestra che scherza (“Cannelloni”, “Gnè, gnè”), oppure gioca a fare la romantica (“A innamorarsi”, “Martin pescatore”) e che, addirittura, si immerge in torbidi scenari da balera (“Rocco”). Cosa dire del secondo cd? Prendiamolo come uno scherzo. Il fatto è che Giorgio Conte ha voluto, non si sa per quale motivo, registrare un dischetto a parte, del tutto disomogeneo rispetto a quello di cui abbiamo parlato sino ad ora. È uno scienziato pazzo quello alle prese con “Amadie” e “Drindi” quasi dei remix - tra reggae e dub il primo, con tendenze trance l’altro - nei quali, a considerare il quadro di insieme, a spiccare è più che altro l’ironia. Certo è che se li avesse firmati un dj di tendenza proveniente da Londra, qualcuno avrebbe gridato al miracolo. E, invece, siamo alle prese con il vecchio e caro Giorgio Conte. Uno che sa come prendere per i fondelli le pseudo-avanguardie.
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La recensione Il contestorie (2 cd) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-04-21 00:00:00
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