Mollybeth Dolcemente e con grande industria 2004 - Indie

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Dalla finestra un bagliore intermittente, sincronizzato con l’orario che lampeggia dallo stereo. La sera è forse il momento migliore per sedersi ed ascoltarlo di nuovo. Era qui da tempo, ma le parole non uscivano. La stima e l'affetto per chi lo ha composto probabilmente squilibravano il giudizio e i pensieri passeggiavano incerti sul da farsi, ma il rispetto ha preso ora il suo spazio, delineando finalmente una posizione coerente da cui raccontare l'esordio dei Mollybeth. La band urbinate, gia vincitrice di Arezzo Wave 2000, riesce finalmente a dare corpo ad un lungo lavoro di gestazione, rivelando definitivamente la propria identità in questo "Dolcemente e con grande industria". Il risultato è un disco che sa raggiungere vertici di pura bellezza, ricadendo improvvisamente in imbarazzanti vuoti creativi. Applausi e fischi, talvolta contemporaneamente.

La trama ispirativa prende le mosse dal rock anni novanta, estrapolandone i tratti somatici essenziali per modellarli attorno a mutevoli sperimentazioni contemporanee. La ricerca dell'intensità melodica è il cardine su cui vengono ruotate le articolate strumentazioni, esplorando il confine tra sonico fragore e leggerezza pop.

Le canzoni si sviluppano talvolta attorno ad un rituale grunge monocorde, che farà illuminare di gioia gli occhi di chi ha perso il cuore a Seattle, ma i suoni diventano realmente incantevoli negli istanti in cui l'ispirazione disegna traiettorie con angoli improvvisi. Le emozioni appaiono infatti più intense quando la deriva industriale ed intimista prende il sopravvento, con i Radiohead che appaiono e scompaiono da un teletrasporto immaginario, suggerendo piccoli spostamenti. Sono questi i momenti in cui i Mollybeth lasciano il segno, scavando porzioni d'aria per riempirle di atmosfere che plasmano sonorità prodotte da macchine elettroniche, umanizzate con la fisicità elettrica di basso e chitarra. Pessimi invece i risultati quando l'interpretazione entra in risonanza con Manuel Agnelli e le pulsioni si annacquano restando sospese in un limbo anonimo che li trasforma in una versione languida dei Verdena.

L'alternanza di impetuose cavalcate chitarristiche e sinuose aperture romantiche, genera oscillazioni quasi poetiche, scandite da un costante rintocco elettronico che distende un tappeto di campioni, peccato per la presenza di elementi di pura banalità che frantumano la continuità, perdendosi in ritornelli scontati e strutture ritmiche che a volte si rivelano prive di sorprese.

Anche lo spessore delle liriche è incostante, ma di certo i testi del gruppo sanno costruirsi una propria autonomia. Ecco così suoni e parole che si intrecciano per stimolare immagini molteplici. Astronavi impresse su pareti scarabocchiate. Colori stropicciati in marmellate psichedeliche. Frigoriferi di pensieri con lacrime di odio congelate. Turpiloqui esistenziali riflessi su uno specchio. Divani alieni per abbracci notturni. Dolori, speranze, sofferenze, rimorsi, ricordi e fantasie. Una fabbrica di chimiche impossibili e storie quotidiane per quello che avrebbe potuto essere un grandissimo disco e invece non lo è.

I Mollybeth si perdono in loro stessi e sprecano una bravura che avrebbe anche il piglio per raggiungere palcoscenici importanti. Meritano però di riempire il tempo di qualcuno, perchè hanno il raro dono di saperti ascoltare nonostante l'ardore che riversano in ogni suono. Non sempre riescono a costruire le giuste scintille di intimità, ma quando lo fanno, le loro canzoni si trasformano in un cappotto che magicamente calza su misura.

"Se non è amore dimmi tu cos'è, che mi fa sanguinare, ora..."

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La recensione Dolcemente e con grande industria di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-05-09 00:00:00

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