Musafir I 2016 - Techno, Dark, Ambient

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Dal cosmo allo spirito della terra il passo è breve nell’elettronica “etnicizzata” di Musafir.

Il ricorso alle magie dell’elettronica come strumento privilegiato di proiezione nel tempo di suoni arcani e misticismo è ormai cosa nota e, peraltro, già collaudata decenni addietro. Dalle visioni cosmo-psichedeliche dei grandi padri del krautrock (gli Amon Düül II su tutti) agli oscuri rituali dei Dead Can Dance si è sviluppato tutto un circuito di connessioni sonore e concettuali tra (tra)passato e futuro.

Il romano Paolo Castelluccio si butta nella mischia, si cuce addosso un nome esotico (Musafir in arabo significa viaggiatore/passeggero), si dota di un armamentario intercontinentale di strumenti percussivo-tribali (dal tonbak al bendir, passando dall’udu e il riqq) e cementifica il tutto con sintetizzatori e samplers, spostando gradatamente il baricentro immaginifico dal cosmo alla terra (o meglio allo spirito della Terra) in virtù di una marcata contaminazione etnica dei suoni sintetici che permea quasi tutte le tracce del lotto.

Una sorta di ambient irrequieto, il suo, che parte da una palpabile attrazione verso la più recente minimal techno (l’ipnotica “What if we fall”), fa poi sponda su elaborate convulsioni IDM (“Aware for the sky is open”) per poi sviluppare ben più panoramiche esplorazioni interculturali vicine alla new age progressiva degli ultimi Tangerine Dream (“Le chiavi del regno” e la conclusiva “Away for the sky is open” che, a loro modo, custodiscono il senso del disco). Un’affezione ben mimetizzata verso il minimalismo sperimentale dell’asse Ben Frost / Tim Hecker completa le dotazioni di serie di quest’opera prima, tradizionale e futuristica al contempo.

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La recensione I di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-04-08 09:00:00

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