Un disco gentile che sta insieme grazie a un alto livello lisergico
Il professor Altman dell'Università dell'Iowa, nei suoi studi sui generi cinematografici, ha elaborato un sistema basato sull'individuazione degli elementi semantici (tempi, luoghi, oggetti) e sintattici (formule, configurazioni, trasformazioni) del genere, caratteristiche peculiari che ci aiutano ad orientarci all'interno del mondo narrativo. Il sistema semantico/sintattico crea delle aspettative: da un personaggio vestito da astronauta, non ci aspettiamo che entri in un saloon dopo aver legato il cavallo alla staccionata, ma piuttosto che parta alla volta della luna. E quando un cowboy si aggira in un ambiente desertico e polveroso armato di pistola, beh, siamo pur certi di trovarci in un western.
Come dovremmo comportarci allora davanti a questo disco, dove una camicia a quadri e una chitarra acustica annunciano di visioni di satelliti e asteroidi, raccontate da un moniker che sembra un buffo cavaliere di ventura di una storia per bambini? Già dall'intro "Desolate space hell" si capisce il livello lisergico necessario a far quadrare tutti questi elementi insieme.
Dalle liquidità dello spazio si erge una chitarra acustica su cassa dritta: il canto morbido e intrecciato, l'elettronica dal gusto vintage rendono "Back to the planet earth (while Piero Piccioni is floating in my damaged brain)" e "Time of stars" un involontario omaggio alla disco anni '70, con i timbri rubati alle musiche del cinema dell'epoca. Elementi ricorrenti, questa voce delicata, così come le tessiture di pianola e synth, i bassi groovy e assertivi, che rendono la musica di Capitano Merletti uno strano incontro tra i brani meno concreti dei Beatles, il pop dei Kings of Convenience, immersi in un'atmosfera da calda nostalgia di certe colonne sonore coppoliane, alla Windsor for the derby. Per esemplificare, basti ascoltare brani con "An egg into the sun", "On high hills" e "Why do you hesitate?", mentre Capitano Merletti (Alessandro Antonel dei Maya Galattici) ci trasporta nel suo trip un po' fattone un po' hippy/nerd, affascinato com'è da stelle e visioni non proprio terrene. Nella sua musica psichedelica il Capitano ci mette la fantascienza, l'amore, i dialoghi con dio e i sogni, soprattutto i sogni ad occhi aperti, di quelli sotto effetto di qualche rospo leccato al lago che durano fino al mattino. Un Syd Barrett che al mattino torna in sé e vi informa su com'è andata la sua nottata, un Piccolo Principe partorito da uno scrittore sci-fi. Con buona pace della definizione di generi, di chi vuole mettere dei paletti alla fantasia.
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La recensione Watch Out For Satellites and Asteroids di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-07-18 10:00:00
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