Le idee musicali folli di un duo molto talentuoso che suona ogni genere come se fosse un altro.
La musica come la matematica ha delle regole e degli assiomi che vanno presi per buoni così come sono. Se per due punti passa una ed una sola retta non è che ci si può mettere a confutare la testi, è così e basta. Anche la musica è schematica e, a volerla studiare scientificamente è un fatto di formule. I Pugni Nei Reni si sono messi in testa di prendere a calci questi dogmi, dissacrano ogni legge non scritta del buon comporre e suonando fondamentalmente rock, registrano il loro album di debutto dal titolo "Bello ma i primi dischi erano meglio".
Già dal titolo surreale si inizia a capire l'imprinting che i due musicisti bergamaschi vogliono dare al loro lavoro: assurdità concettuali applicate a sovversioni musicali, ecletticità al servizio del ben suonato anche se è difficile trovare una vera identità. Estremi portatori dell'hard-rock anni '80 in brani come "Drop", che per i primi 3 minuti rimane scuro e imperniato sullo stesso giro e sulla voce cavernosa, e poi esce fuori un arpeggio pulito pulito come a lavare via tutto quel gotico creato in precedenza, per poi ritornarci e concludere con acuti vocali che nemeno Sebastian Bach.
Il blues percorre le vene di Giacomo e Christian, "Babuzzi" e "Jake" ne sono la prova. La prima gira su un riff potentissimo alla ZZ Top, alternato a momenti epic stile Wolfmother; la seconda è una ballata più pulita in cui spicca una vocalità camaleontica che viaggia tra Tom Waits e Matt Bellamy. La voce di Giacomo è di certo uno dei principali fattori del successo di questo disco, le infinite sfumature che riesce ad avere e la notevole capacità di estensione tra growl e falsetto al limite dell'ultrasuono, stupiscono ad ogni ascolto. Avvertenza: "Il nuovo che avanza" va ascoltata distante dalla cristalleria di casa o potrebbe scoppiare il servizio buono.
Capaci di tutto i Pugni Nei Reni, dal campionamento delle voci in beatbox ("Risposte di circostanza all domande esistenziali di Jane Fonda"), al teatro canzone new-romantic ("Il valzerino dell'amore"), ma il brano che forse raggiunge il picco per composizione e abilità di esecuzione è "Morning Brunch", incastro malatissimo tra Bee Gees e Genesis, sovverte tutte quelle regole musicali che non vedrebbero mai un ritornello prog seguire una strofa discoinferno. Geniale.
Se le orecchie avessero i reni sarebbe a quelli che questa band darebbe i pugni, per far capire che non di soli sistemi si vive, che le regole sono fatte per essere raggirate (soprattutto in musica) e che se si è capaci si può suonare qualsiasi genere e persino incidere un album che racchiuda follia sì ma anche tanto talento. La coerenza di stile è solo l'ennesima bandiera che cade di fronte alla genialità.
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La recensione Bello ma i primi dischi erano meglio di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-07-04 09:00:00
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