Babalot è immenso. È semplicemente convinto di essere la negazione di ciò che è, un cantautore, e per questo è bellissimo. Semplice. Fatto così come lo si vede: onesto, trasparente, stronzo. Diciamo molto stronzo. Magnificamente adorabile, è baciato da un talento assolutamente fuori dal comune, e non dandoci troppo peso, riesce ad entrare nelle profondità delle emozioni e del vivere con levità e dolcezza, miste ad un cinico disincanto così vivido e reale da riuscire a grattare via con soli due versi ciò che i giorni cercano di cementificare dentro gli uomini.
In realtà, musicalmente, Babalot non è rivoluzionario. Scrive delle canzoni mai troppo arzigogolate – “di tre o quattro accordi, del genere che subito ricordi”, per rimanere in ambito Aiuola – con un ritornello e qualche strofa. Da quando poi non è più accompagnato da una band, la strutturazione ridotta all’osso lo ha reso ancora più nudo di fronte al pubblico di quanto non lo fosse prima. Come un perfetto solista, in compagnia di una chitarra acustica. Sostanzialmente nudo, soprattutto per uno che non fa certo della mondanità il suo credo quotidiano.
Questa volta, però, Babalot è in (buona) compagnia. Ci sono tutti gli amici del roster Aiuola e il redivivo Joe dei La Crus, infatti, a dare una loro personale versione di suoi pezzi pubblicati nel debutto “Che succede quando uno muore”. Il risultato è così così, in crescendo.
Si parte con un inedito di Babalot: “Chiudimi in casa”, che è buono, carino, anche se ha fatto di più (e di meglio). Si passa poi a “Ferie Carpache”, dei Carpacho appunto, una stranita e lunatica versione di “Ferie Mentali” sinceramente poco fruibile anche se decisamente originale. Arriva dunque “Panca Molto Bestia” in chiave Artemoltobuffa, loffia. E poi c’è l’emozione. Prima “Festa n. 4” dei sempre più magnifici Non Voglio che Clara, che toccano in chiave pianistica uno dei più bei pezzi del siculo, rendendolo ancora più delicato e profondo. Poi Joe, che con una voce gonfia di spleen fa vibrare nelle viscere delle sue corde la semplicissima bellezza di “Ma che ti ho fatto” (così che noi, che ancora amiamo sentire voci piene di cotanta bellezza, lasciamo scendere una piccola, timida lacrima). E infine Babalot, che prima ci mette prima tutti a sedere e poi ci fa alzare in un tripudio da standing ovation: “Non immagini che palle / la vita dei cantautori / tutto il giorno alla finestra / a guardare fuori / … / non può essere normale / prendere soldi per cantare / come se un bel tramonto / lo si dovesse pagare”.
Solo i talenti riescono a sintetizzare in 91 secondi la crisi di una generazione e di una generazione di cantautori. I talenti puri invece riescono a farne addirittura un inno. Babalot, che è un talento puro, scrive “Canzone di protesta contro i Cantautori”. Inutile dire altro.
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La recensione Doppelganger di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-12-21 00:00:00
COMMENTI (8)
non può essere normaleeeee prendere soldi per cantareeeeee come se un bel tramonto lo si dovesse pagareeeeeee
doppelganger è proprio un dischettino simpatico
per cinque euro non si può chiedere di più
brava aiuola
...comprati il disco per i periodi di stitichezza allora!
babalot. basta la parola.
càpita...
fa cagare
forse genio no.
pero' te acty potresti essere Margherita Hack...
quindi lui, insomma, è comunque una bella capoccia... :)
se babalot è un genio io sono rita levi montalcini
ehm ehm