Chiariamo subito che a parere di chi scrive Paolo Conte è l’uomo con le risposte, uno di quei personaggi che si dovrebbero intervistare per delle giornate intere un po’ come fece Truffaut con Hitchcock.
Non molto tempo fa il signore in questione ha avuto l’ardire di affermare (primo fra i suoi colleghi) che la sua ispirazione non è più quella degli esordi e che scrivere per lui significa correre costantemente il rischio di rispolverare sempre i soliti modelli, le stesse vecchie storie.
Questo è forse il motivo per il quale l’ultimo album di canzoni inedite risale al 1995 ("Razmatazz" del 2000 era un’opera multimediale sulla storia del jazz); nove anni di attesa che l’instancabile Conte ha passato tra i tour e le riedizioni delle sue canzoni per il mercato americano.
Elegia non è il disco per il quale ci ricorderemo di Conte in futuro. La sua discografia ci ha regalato troppi episodi memorabili, troppe parole giuste, troppe immagini azzeccate, troppe canzoni definitive.
Chi non si è mai approciato a Conte si vada a comprare "Paris Milonga" e ripassi da queste parti più tardi.
"Elegia" è però un lavoro che si discosta dai precedenti se non altro per la sua semplicità; a tratti gli arrangiamenti sembrano grezzi e scarni, le pesanti orchestrazioni che avevano colorato "Una faccia in prestito" sono molto ridimensionate e la voce suona sguaita e selvaggia come nei primi dischi. Elegia è anche una canzone, bellissima, forse una delle più fragili e malinconiche che Conte abbia mai scritto. Meritano una menzione anche: "Sandwich Man" dove la band sfodera un andamento che farebbe invidia ai migliori Belle & Sebastian, "La Casa Cinese" con le sue atmosfere cupe e suggestive e gli abissi nostalgici di "Chissà".
Conte non inventa niente e lo sa, cade costantemente in tutti i tranelli che dice di temere e aggiunge un altro capitolo alla saga del mocambo ("La nostalgia del mocambo").
Rispolvera i suoi miti, ma lo fa con garbo, senza disturbare nessuno, con la classe che lo contraddistingue.
Elegia dunque è un disco che non verrà ricordato come una pietra miliare della discografia contiana, però è, a suo modo, un capitolo importante nella storia di un uomo che prossimo ai 70 anni celebra la sua musa, senza sensazionalismi e toni altisonanti e dalla copertina guarda in alto con espressione sacrale, verso la sua giovinezza, le sue nostalgie e le sue malinconie, riuscendo a fare sempre e comunque scuola.
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La recensione Elegia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-01-18 00:00:00
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