C'è questo disco che sta sulla mia mensola da mesi. Ho iniziato più volte ad ascoltarlo - ed ogni volta mi sono lasciato abbattere dal suo suono impastato e acquatico. Un suono simile a quelle cassette rimaste nel cruscotto dell'auto per mesi; quelle cassette che ripescate dal bauletto dopo tanto tempo e tanta strada, suonano come da dentro una caverna, arricchendosi di dilatazioni e rumori insospettati. Il suono tipico del quattro tracce. Stasera riprendo in mano il cd - e posso finalmente raccontare di che si tratta.
Alessio Luise è un ragazzo di Sesto San Giovanni che un tempo aveva un gruppo ed oggi invece, come da moniker, fa tutto in solitudine, 'senz'altro'. Ha messo in questo disco la sua sfrenata passione per la parola. Nonsense, cut-up, calembours, scrittura aforistica si incontrano in un territorio musicalmente frastagliato - a tratti letteralmente terremotato - fra atteggiamenti dandy, sguaiatezze dada, pop art. "Le persone in gamba la sanno lunga / Fanno il passo più lungo della gamba", "Comunque preferisco essere al di fuori del comune / Comunque andrà amore mio lo sai ci sposeremo in comune". Sono freddure che suonerebbero bene sulla bocca di un Babalot, di un Bugo, o per rimanere in famiglia, del nostro Alberto Motta.
Disco veramente ostico questo di Luise, difficilissimo da ascoltare tutto d'un fiato, caratterizzato da un suono che sembra una traduzione hard core dei Bluvertigo (sic): elettronica sporchissima che si impasta ad una voce quasi sempre filtrata e sommersa dalle basi. Alessio è una specie di Bergonzoni cibernetico, alle prese con pianole scassate e acustiche sfringuellanti. Mi sembra che la volontà sia quella di opporre la ruvidezza di questo "artigianato intellettuale svincolato dalle arti specialistiche" (la definizione è di Alessio stesso) al buonismo di certa produzione mainstream, troppo levigata e asettica. A voler fare i dottoroni, potremmo dire che assistiamo qui ad un tentativo in corner di rimediare alla benjaminiana 'caduta dell'aura' (richiamata per altro dal titolo della traccia numero sei).
Il risultato è sicuramente originale; dispiace però che le liriche, sempre molto argute e a tratti geniali, siano spesso nascoste dentro alle magmatiche sonorità del disco. Secondo me sarebbe da abbandonare l'idea - ideologicamente ineccepibile - di plasmare il proprio stile in una programmatica assenza di mezzi tecnologici. E lasciare invece brillare l'esplosivo migliore a disposizione di questa azione dinamitarda: la parola.
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La recensione inversioni aEIOU, in versione aUDIO di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-01-19 00:00:00
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