Tra il prog rock e il garage, la combo organo elettrico-basso-batteria dei Rubber Eggs vi riporta al meglio degli anni ’60, senza scadere nel “revival”.
Siamo a cavallo tra i ’60 e i ’70, la Fabbriche Riunite di Fisarmoniche, nota con il celebre acronimo “Farfisa”, vive il suo periodo d’oro e così il prog-rock, con tanto di felice convivenza tra chitarre e organi elettrici. Una quarantina d’anni più tardi, l’esordio in ep dei Rubber Eggs riprende esattamente quest’immaginario, con tanto di Farfisa incluso, ma senza chitarra al seguito. La rinuncia della sei-corde, che stando a quanto riferito dalla band è stata più una necessità che una scelta, lascerà forse amareggiato qualche nostalgico, ma la verità è che il trio palermitano è riuscito a trovare un equilibrio di tutto rispetto anche in formazione ridotta.
L’organo elettrico, acido quanto basta, la fa da padrone e leva ogni dubbio su quale sia il bagaglio musicale dei Rubber Eggs: ne avranno consumati di dischi dei The Who, Small Faces e compagni prima di chiudersi in garage a suonare e l’influenza dei maestri ha senz’altro giovato a questo breve, ma intenso quattro-tracce. In ogni caso, con una strumentale come biglietto da visita (“Cheeze for my rat”), la sezione ritmica ci tiene subito a comunicare il proprio peso all’interno del progetto. Insomma, oltre al Farfisa e alla voce di Davide Orsi c’è di più, e si sente.
Di fatto, la batteria massiccia e il basso spesso e volentieri in overdrive, scacciano l’effetto “revival” e contaminano la psichedelia di fondo con il garage rock. Non a caso, è “Illusion” il brano più interessante dei quattro, dove le anime diverse dell’ep meglio convivono, senza prevalere l’una sull’altra. Il finale epico di “Revenge of Mother Earth”, a conti fatti un terzo della durata del disco, è tutto sommato la naturale conclusione dell’album, ma in questo caso il cantato/parlato mette a nudo la nota dolente dell’album: se è vero che il prog rock e l’inglese vanno a braccetto, qualche sforzo in più per la pronuncia è d’obbligo per i futuri lavori.
Intoppi ‘fonetici’ a parte, l’esordio dei Rubber Eggs funziona eccome: a volte bastano solo quattro tracce per cominciare un bel viaggio e qui vi si riporta alla metà dei Sessanta senza la preoccupazione di dover cambiare giacca o acconciatura.
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La recensione Rubber Eggs di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-07-13 09:00:00
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