Dalla Svezia a New York, lo charm-noise di Anybody Cares?
Vera-Lynn Vice, autrice e voce del progetto svedese, nonché omonima della famosa cantante tradizionale britannica degli anni ’30 - ‘40, rievoca il medesimo approccio carismatico e magnetico della sua connazionale Nina Persson, leader dei Cardigans.
Diversamente dalla band di My Favourite Game, i Radio May Wave, percorrono una via meno rotonda nelle sonorità, declinando la propria musica in un torbido uso di chitarre shoegaze mai prevaricanti nelle composizioni.
“Rings of Saturn” si muove attorno alla scena noise dei Sonic Youth del periodo "Dirty", dove gli arrangiamenti trascinati dal riff, fanno emergere una voce appena schiusa dal consueto muro di distorsioni.
Ancora più personale è la sporca “Abuse”, incentrata da una timbrica algida ma suadente, riesce ad imprimere in modo definitivo il carattere artistico di "Anybody Cares?" in un testo di trasgressività e voglia di libertà.
Il velo post grunge che aveva accarezzato l'apertura del disco, si concretizza in maniera ancora più abrasiva con “Dysmorphic”, articolata dai proverbiali strati di suono dalla scuola del chitarrista Thurston Moore e dalle venature punk di Kim Gordon, distogliendo presunti equivoci estetici di un album di sola facciata rispetto alla sua vera sostanza.
Seguono giochi d’attesa, quali la più orecchiabile cadenza ritmica rock di “Blind”, ma non così compiuta quanto “You and me, T-P-E” in quel suo tocco unico di sfacciato autoerotismo, plasmata in modo ineccepibile dalla voce femminile ancora una volta punto centrale della band.
Ed in quest’atmosfera che culmina in un cambio repentino di malinconia, “Bugbear”, il pezzo più riflessivo del disco, capace di intraprendere in modo più intimo le melodie di Billy Corgan come affresco imprescindibile degli anni ’90 del rock alternativo americano.
“Waste of Space” sfida Pixies e Flaming Lips, perdendosi in alcune trovate sperimentali non così riuscite, lasciando invece al ritornello un taglio al brano più generazionale e adolescenziale, tanto da poterla considerare come la canzone manifesto per gli amanti di questa scena.
Si chiude un album ben ragionato, ma autentico e coinvolgente. Tanto quanto basta per abbattere le distanze al primo ascolto anche per i meno avvezzi al genere, grazie alla bontà stessa del repertorio del gruppo, a dispetto di influenze sempre presenti ma mai invasive, lasciando sfogo all'ultima canzone “The Blackest Sheep on Hearth”, sunto perfetto e giusto epilogo di un ottimo lavoro qual è "Anybody Cares?".
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La recensione Anybody Cares? di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-07-28 00:00:00
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