C’è voglia di psichedelia nell’aria. Negli Usa è quasi una nuova moda, segno che non sempre vengono per nuocere, in Italia una timida tendenza. Tra le band che fanno capolino circondandosi di fiori e colori, spuntano anche i Vega Enduro di Giovanni Ferrario, ben noto come leader dei Micevice e accompagnatore live di Morgan e Hugo Race. Stavolta la ditta è guidata in condominio da Vittorio Carli, autore di testi e linee melodiche.
Psichedelia. Ma quale? C’è psichedelia e psichedelia. Il filone prevalente in questo disco è quello della rinascita psichedelica degli anni 80: “The womb” evoca subito i Freur di “Doot doot”, mentre “Moving” è un atto d’amore per i suoni dilatati e acquei dei Jesus & Mary chain di “Psychocandy”. In generale si respira aria di Julian Cope, Television e Robin Hitchcock. Poste le coordinate, c’è dell’altro nei Vega Enduro. Quasi seguendo le radici, “Skeleton parade” marcia su un riff di chitarra parente stretto di “Waiting for the man” dei Velvet Underground, che della psichedelia diedero una versione tutta particolare, opposta al flower power californiano e albionico. Il finale del pezzo poi, esibisce dei coretti che fan pensare al Paisley Underground e ai R.e.m. al vago sapore di fiori di “Shiny happy people”. Ok, se non siete avvezzi a legger recensioni, maneggiate questi nomi con cautela: non si tratta di scopiazzature, oh grulloni, ma di climi suggeriti, atmosfere evocate, paradisi sussurrati. Né si vuol dire che i Vega Enduro siano già al top della storia rock come i suaccennati (ma devo dirvi proprio tutto io?), ma semplicemente che vi si ispirano.
Quando voglion citare, lo fan con simpatia: come in “Place to make a stand” dove tra le svisate della chitarra fa capolino, furbetto e sorridente, il riff di “Third stone fron the sun” di Jimi Hendrix, assieme a una pletora di altri ammiccamenti al figlio del Voodoo, totalmente – e questo è il bello quando si cita – fuori contesto. “Big time scavengers” s’ispira al John Lennon anni 70. E bravi.
In generale, un disco carino. Che non è una brutta cosa. Anzi, con tutto quello che tocca ascoltare oggi da pretesi geni autoproclamatasi tali solo perché sanno agganciare la cintura della chitarra, ben vengano i Vega Enduro, che si staccano dalla massa. Solo che il disco rimane un po’ al di qua, è molto gradevole, ma non spinge emotivamente all’ascolto. Voglio dire: devi un po’ ricordarti di lui. Allora lo riascolti e sei anche contento di averlo fatto. In alcuni casi, come nella ballata “Just a minute to forget” e nel mid-time “H+C”, gli episodi migliori e che forse non a caso ricordano maggiormente i mai troppo rimpianti Lula, si ha la sensazione che il difetto stia nella produzione, che toglie immediatezza e aggiunge cerebralità. Sarà che Ferrario stavolta era direttamente coinvolto e, si sa, da dentro le cose si vedono meno bene che da fuori. Ma un disco di psichedelia pop rock che suona un po’ trattenuto possiede un limite. E questo a scapito delle buone composizioni e del buon lavoro degli strumentisti. Però, dai. C’è la sensazione che questi Vega Enduro stiano per venir fuori. E andateli a vedere dal vivo: ché magari il limite lo superano. E le loro canzoni sono pur carine, avevo detto, no?
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La recensione Big Time 25:33 p.m. di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-03-17 00:00:00
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