L’odierna riproposta di stili appartenenti al rock può risultare anacronistica ad orecchie allenate, ma se gli Interpol hanno avuto l’impatto che hanno avuto può significare solo una cosa: qualcuno vuole ancora fermare il mondo per camminare a piedi.
I wetfinger operation, nella fattispecie, non sono un gruppo che corre veloce, presentandosi un po’ U2, un po’ Television, nel complesso decisamente retrò. Scelta che paga ai live, senza dubbio. Scelta che parla di un ipotetico mondo non ancora in wi-fi, un mondo in cui la legge di Moore raddoppia la potenza dei microprocessori ogni 18 anni. Un mondo in cui un uomo sulla luna fa ancora stare alzata la gente di notte con gli occhi verso al cielo. Pensando a Major Tom.
Era meglio quando si stava peggio forse, quando si entrava in un negozio di dischi a chiedere consigli sulle novità d’importazione. Rigorosamente in vinile pesato. Non posso biasimare i nostalgici, mi risulta però difficile estrapolare un’opera artistica dal suo contesto storico.
E’ questa la critica che posso avanzare, non solo ai Wetfinger, autori di un dignitosissimo album rock impreziosito peraltro da perle come “Lust days of april” e “Keystone”, ma a tutti coloro si approccino al genere senza un’attitudine propositiva. A me il rock ha stancato. A voi no ? Ottimo, allora correte ad accattarvi questo disco, vi piacerà, è fatto bene e pure con cuore.
Ma per me il rock è morto e pure tempo fa, così come il blue grass, la IDM ed i waltzer viennesi. Oggi, a parte rare eccezioni, di rock ci si può solo cibare, per digerirlo e defecare qualcosa di nuovo. Magari pure estremamente odoroso. Altrimenti si passi alla bulimia del pop: ha già ingoiato molto rock e spesso si concede pure a perversioni autocannibalistiche. Pop will eat itself, no?
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La recensione the wetfinger operation di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-04-03 00:00:00
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