Gigante संगीतHimalaya2018 - Pop, New-Wave, Folk

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Angoscia che si risolve nella bellezza dell'opera, come per la grande letteratura o i film d'avventura: "Himalaya" di Gigante è Primascelta

Il fascino della natura selvaggia, il bisogno di sentirsi parte di essa, ha affascinato tante menti della letteratura di tutti i tempi, nonché della cinematografia. Se Thoreau, London, Conrad, “Into the wild” hanno raccontato dell’uomo che cerca e si rivela nel contatto con la forma più primordiale di libertà nella natura, la narrativa di Gigante e del suo album “Himalaya” sposta l’occhio su chi nella natura ostile ci si ritrova, non la sceglie. Ispirato dalla lettura di “Tabù – La vera storia dei sopravvissuti delle Ande” di Piers Paul Read, che racconta dei terribili mesi vissuti dai sopravvissuti di uno schianto aereo costretti a cibarsi dei compagni, Gigante scrive il suo malinconico manuale di sopravvivenza al freddo, spostando l’ambientazione dalle Ande all’Himalaya, simbolo eterno della sfida tra l’uomo e la natura.

Della capacità di immaginare Ronny Gigante aveva dato già prova con la sua band, i Moustache Prawn, che ci avevano raccontato storie di esperimenti alieni, civiltà su altri pianeti, scienziati cattivi, con la leggerezza dell’indie-rock. Decisamente più plumbeo e ancestrale è invece il linguaggio musicale di questo album, che ha svelato pian piano in questi mesi la sua poetica. “Guerra”, il primo singolo estratto, aveva già fornito le coordinate: atmosfera nordica che però assume varie elementi estranei ai paesaggi invernali, come l’ukulele e i canti a tenore, infiltrati di synth cosmici, per un sound complesso e sinestetico. Il ritmo marziale incalza la morbidezza del cantato, che ha la particolare capacità di sapersi infiltrare nel tessuto sonoro diventando a sua volta suono: una voce che non è la canzone ma si mette al servizio della canzone. Non per questo i testi scompaiono negli arrangiamenti: il romanzo di sopravvivenza di Gigante inizia a delineare il suo paesaggio di alberi, neve, cime, luce grigia riflessa sull’acqua. A questo filone più tenebroso e sconfitto appartengono “Bosco”, un western spaziale, “Tenebra”, il brano con un cuore pulsante di elettronica che piano piano emerge dall’ostinato di ukulele, e infine “Fiume”.

All'inizio si sono fatti i nomi di Beirut e Iosonouncane, e a ragione, ma esiste anche un filone più world nella sua musica, ascrivibile a quelle esperienze etno-psych-rock dei Goat: l’uso massiccio dei fiati e di certe melodie dal sapore asiatico (come Gigante stesso conferma, le sigle dei cartoni animati giapponesi sono una delle sue fonti di ispirazione) contaminano il post-punk e i synth sinistri e maestosi, che ricordano quelli che davano voce a boschi ben più noti, situati nei pressi di un paesino immaginario chiamato Twin Peaks.
Il momento però in cui si è capito davvero che "Himalaya" poteva raccontarci una storia completamente nuova ed eccitante, è stato quando è stato pubblicato il singolo “Sopravvissuti”, il brano che accoglie nel suo arrangiamento sontuoso tutta la gamma di suoni e colori a disposizione del talento di Gigante. Il pianoforte svolazzante, i synth che aggiungono punti luce, raccontano una storia di agghiacciante autoironia, che diventa dolorosissima alla luce del cinismo di “Buon anno”, la frase con cui i sopravvissuti si salutavano nel momento della morte. Un canto corale alla ricerca della solidarietà umana, un tema forte e toccante che Gigante riesce a declinare in sole due parole e con l’escamotage di cantare tutto il brano alla prima persona plurale: quel “Crediamoci, non pensiamoci” disperato e terrificante, che costringe al riascolto continuo, con lo stesso spirito di attrazione per il lato oscuro che ci spinge a guardare i film horror o a leggere la cronaca.

Risolvendo questo senso di angoscia nella bellezza della musica, “Himalaya” ha il fascino della grande letteratura e la maestosità dei film d’avventura. Niente male per un musicista che ha scritto, arrangiato, registrato e prodotto il suo disco da solo, con buona pace dei produttori blasonati e delle etichette sforna-hype. Nella musica italiana contemporanea spesso si parla di fenomeni, ma nell’accezione sbagliata del termine. Gigante è un fenomeno vero, nel senso più cristallino, perché ha una visione molto ampia di come e cosa vuole raccontare, regalandoci un disco complesso ma non accademico, popolare ma ricercato. Crediamoci.

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La recensione Himalaya di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-02-26 09:00:00

COMMENTI (11)

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  • Riot6 anni faRispondi

    Un redattore che da degli invidiosi... eheh... si commenta tutto da solo...

  • Riot6 anni faRispondi

    Se ci pensate, se questo album/progetto è da Prima Scelta su Rockit figuratevi il livello delle seconde terze scelte :))))

  • Riot6 anni faRispondi

    Se poi hai pure l'appoggio dei media, ecco la mediocrità si vende ancor meglio.

  • Riot6 anni faRispondi

    Sa tanto di band e prodotto costruito plasticoso finto, band studiata per vendere e vendersi...

  • utente1185236 anni faRispondi

    @pons sì ammetto di essere invidioso, anche io vorrei avere una voce capace di annoiare intere nazioni e così poco sopportabile da essere usata a Guantanamo. Ok dai, a parte gli scherzi, vorrei sapere cosa ne pensi dell'album, non vorrei che te la cavassi con una battutina e stop :)

  • pons6 anni faRispondi

    uuuh quanta invidia! :)

  • utente1185236 anni faRispondi

    No però adesso dobbiamo essere un poco seri: il lavoro del recensore è da apprezzare moltissimo, riesce ad attribuire grandi qualità all'album, fa un ottimo lavoro dialettico. Però non è una recensione, è una specie di novella che descrive un'opera che non esiste perché, a mio parere, l'album che ho ascoltato è proprio un'altra cosa. L'ho ascoltato tre volte, di solito per valutare un album ci metto di più ma non ce l'ho fatta ad andare oltre: è da anni che non sento una voce così fastidiosa, monotona, emotivamente piatta e che trasuda supponenza come quella di Gigante. L' ultima cosa che ho detto è totalmente soggettiva ma il resto no, assolutamente no (fra l'altro anche il recensore non sapeva come descriverla infatti ha ricorso alla supercazzola: "una voce che non è la canzone ma si mette al servizio della canzone", boh ok). Ho molte altre opinioni in merito a questo album, che sono totalmente soggettive: mi disturba il fatto che nella metà dei dischi di indie italiano ci siano 'ste cavolo di tastiere Prophet, con lo stesso timbro copiato e incollato; l'ukulele suonato sempre allo stesso modo, con la stessa ritmica tutto il tempo; i fiati infilati a forza in quasi tutto l'album.

    Tutto soggettivo, però c'è una cosa intollerabile: chiami l'album Himalaya, l'opera di riferimento è ambientata lì, fai il super intellettuale e ti metti pure un pezzo di nome in sanscrito (che significa Musica... ok) poi quando arriva il momento di tradurre questo "etnicismo" in musica cosa fai? Piazzi un campionamento di Throat Singing mongolo (ripeto, mongolo) di 10 secondi all'inizio e alla fine di "Guerra" e poi basta per quasi tutto l'album. Ah ma allora questa storia dell'Himalaya, del Nepal e del sanscrito era buttata lì solo per far prendere bene tutti gli indiesfiga?

    Sono solo opinioni le mie, però questo album mi ha fatto girare in maroni.

  • alf.sen6 anni faRispondi

    @Karamazovitalia io so che fa parte della P2, c'è la massoneria dietro, i poteri forti ormai gestiscono tutto, compreso l'indie, è uno schifo.

  • Utente eliminato6 anni faRispondi

    @Riot Concordo. Inoltre, anche nell'indie le modalità sono sempre più sospette. Questo con 1700 like su Facebook e prima ancora che fosse uscito l'album era sotto MArte booking con date prenotate in locali tipo il Locomotiv. Casualmente, disco in primascelta. Ormai è solo hype, il resto non conta più un cazzo.

  • marcoalessi696 anni faRispondi

    Disco orribile, ma dove li scovano?