"Mowgli" è il disco che consacra Tedua, e non come esponente della trap.
"Mowgli" è il secondo album ufficiale di Tedua, e come potete immaginare, riprende il nome del film della Disney assecondando la perversione feticistica del rapper di immedesimarsi in un personaggio cinematografico in ogni suo album (precedentemente fu Ryan di O.C.), ma anche dell’omonima opera letteraria di Rudyard Kipling il cui titolo completo è “Il libro della giungla”. In effetti, lo sforzo principale di Mario nel suo ultimo lavoro si è proprio espresso a livello compositivo e di scrittura, sforzo finalizzato allo sviluppo di un opera che fosse coerente dalla prima all’ultima traccia.
Il fil rouge che attraversa tutto l’album è la giungla, la quale, pur ritornando nella quasi totalità delle canzoni, assume continuamente significati diversi: la giungla metropolitana- genovese o milanese che sia- nella quale Tedua è dovuto crescere ed è diventato uomo; la giungla del mercato discografico dove Tedua si è ormai ritagliato il suo spazio; Mowgli, un ragazzo abbandonato che grazie all’aiuto della sua banda, della sua famiglia adottiva, è riuscito a sopravvivere allo stato brado.
Insomma, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio concept letterario nel quale, anche in maniera molto matura, nessuna canzone spicca come hit ma ogni composizione sembra assumere all’interno del discorso complessivo il ruolo di un capitolo. Chris Nolan, con l’intelligenza di un regista che detta i tempi di una squadra, si è saputo porre in secondo piano senza per questo risultare meno determinante: raffinato amanuense, ha rilegato ogni volume della saga con un tappeto musicale variopinto ma sempre cucito su misura per le diverse sfumature di Tedua. "Mowgli" non sancisce quindi esclusivamente la definitiva consacrazione del rapper genovese ma anche quella di uno dei, presumibilmente, più importanti producer d’Italia.
Fondamentalmente, Tedua è riuscito a crearsi uno zoccolo duro di fan talmente cospicuo da potersi perfino permettere il lusso degli haters: c’è chi non lo accetta per il suo flow, chi gli rimprovera l’uso della metrica, chi ancora continua ad accusarlo di andare fuori tempo. Vetusti baluardi di un hip-hop che non esiste più ed invidiosi di un successo che per contingenze storiche non li ha mai sfiorati, i totem della vecchia scuola non solo non sono stati in grado di interpretare i contenuti proposti dalle nuove generazioni ma non ne hanno soprattutto carpito le affinità. Stretto nella morsa delle critiche come un pugile nell’angolo del ring, l’animo del ragazzo della giungla non si è mai sopito e continua, tutt’ora, a manifestarsi attraverso piccoli lapsus e tic: dalle tematiche (l’adolescenza, la vita in strada, gli alterego cinematografici) trattate in ogni canzone, alle sonorità “arancioni” di pezzi come “Sangue Misto” fino al raffinato auto-citazionismo con il quale parti delle sue opere precedenti trovano spazio, sparse per il suo ultimo disco come veri e propri leit motiv compositivi. "Orange County", pur essendo annoverabile tra gli album ufficiali, rimane pur sempre un lavoro ideato come “mixtape”, una raccolta di opere giovanili; "Mowgli", invece, è il disco nel quale Tedua sembra aver definitivamente trovato, e messo a punto, non solo un sound personale e riconoscibile ma anche una dimensione musicale certamente più ricercata e matura.
Parlando di Tedua si è sempre abusato di concetti quali l’associazionismo e il flusso di coscienza e, in effetti, l’attitudine “joyciana” alla scrittura è ciò che ha determinato maggiormente anche il suo personalissimo modo di rappare. L’impellenza comunicativa dettata dalla varietà tematica lo ha costretto a premere sull’acceleratore e il suo fiume di parole si è ora riversato su basi canonicamente trap come “Fashion week”, sulle note alla Nickelback di “Vertigine” che sfociano nel ritornello più bello dell’album, sulle composizioni spagnoleggianti di “Dune” e “Natura” sino agli spin off dei classici dei più grandi interpreti del rap italiano come “Acqua”, citazione diretta di “Malpensandoti” di Dargen D’Amico. Potremmo persino azzardarci a definire "Mowgli" un disco d’amore, quantomeno un disco passionale e romantico. Le vicende sentimentali si intrecciano continuamente con le vicissitudini passate, con aneddoti dalla strada e con le storie del recente successo, creando strampalati ma dettagliatissimi racconti nei quali la stesura viene beneficamente compromessa dai fumi delle cannette: “sai l’hashish è un flusso di coscienza quindi se lo sporca te lo riporta in testa”. Baudelairiano.
Tedua ha portato a compimento un percorso intrapreso sin dai tempi di “Pugile” discostandosi dalla sonorità tipicamente trap ma rimanendo pur sempre vicino alle tematiche ed alle situazioni che lo hanno sempre contraddistinto: Cogoleto, la Liguria, la sua famiglia, gli amici storici, carcerati ed universitari, e la sua crew. A differenza di “Rockstar” di Sfera Ebbasta, ma in maniera del tutto simile ad “Io in terra” di Rkomi e “Pizzicato” di Izi, "Mowgli" è il disco della definitiva consacrazione di Tedua non come esponente della trap, ma come rapper, interprete, musicista, scrittore e cantautore a tutto tondo.
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La recensione Mowgli di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-03-09 13:30:00
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