Il sound è corposo, denso, persino un po’ sporco. Il genere salta fuori da un’allegra – neanche tanto, nel senso che l’approccio alla musica dei NeoRea è quantomeno disincantato e fuligginoso, se non decisamente turbato - scorribanda fra i Doors del “Morrison hotel”, una certa attitudine (e sottolineo attitudine) proto-Afterhours e le linee melodiche pari pari il periodo real-grunge – or dunque, messeri, da intendersi secondo lo schema cronistorico da “Bleach” in giù), solo addolcite e lievemente più lavorate, oltre che inframezzate da arpeggi di chitarra acustica che ne attenuano l’impatto (allora) devastante.
Il prodotto che ne esce fuori è quantomeno ambiguo: un po’ perché avrei voluto avere più pezzi da ascoltare, un po’ perché i NeoRea sono uno di quei gruppi che non riesci a capire se hai davanti una gustosa scoperta o una “sola” in piena regola, come si dice a Roma. L’unico modo per districarsi da una matassa del genere sarebbe avere più materiale a disposizione.
“Microrgano” è una scarica di elettricità, perfetta: non il manifesto delle nuove tendenze nostrane, ma senza dubbio un pezzo completo e compatto che ha dentro l’insozzato ma lucido d.n.a. del gruppo. “Cambola” è un trascinante rock-blues riccamente decorato da chitarre funk, apparentemente caotico ma a ben ascoltare ingegnosamente architettato. “The dark page”, sebbene sfrutti al massimo l’artificio dello “spezzato”, del cambio di ritmica inatteso, è forse delle quattro canzoni la meno completa, quasi fosse dentro all’ep per caso. I testi sono macchie di verbi e sostantivi di cui a volte si scorgono chiaramente i contorni, ma che più in generale sono semanticamente lasciate alla libera “incarnazione” dell’ascoltatore. La voce, forse, a volte diviene davvero troppo sottile e abbozzata.
Lo ammetto: non mi dispiacciono. Si fanno ascoltare: picchiano ma nel marasma, dopo tutto, recuperi la forma-canzone. Tiri fuori discreti soli di chitarra e tanti riferimenti, da quelli suddetti ai Verdena fino al sottobosco proto-Seattle (tutto quel che c’è fra i Beat happening e, come detto, i Nirvana di “Bleach” passando per i Blind melon & compari) anni’80. Riferimenti senza dubbio levigati, personalizzati, elaborati. We’re waiting for a feeling, insomma. Non è detto che sia amore.
---
La recensione Embrione sonoro EP di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-06-10 00:00:00
COMMENTI