Marco Di Maggio dimostra ancora una volta che il modo migliore per tenere un genere in vita, è rispettarlo.
Spesso si pensa che l'artista coraggioso e bravo sia quello che riesce a dare qualcosa in più al panorama musicale, che si spinge oltre scoprendo nuovi generi e frontiere. Spesso sono gli stessi artisti a pensarlo cercando per forza il crossover che possa stupire il pubblico, considerandolo il punto più alto e difficile della composizione. In fondo invece creare un nuovo mondo è forse più facile, perchè slegato dalle regole che ogni genere ovviamente impone e che bisogna rispettare. Per questo l'andare a rivangare i vecchi generi che sono già stati ampiamente superati e che hanno segnato un'epoca è probabilmente la scelta più coraggiosa che un musicista possa fare. Riesumare generi passati dando loro nuova vita, magari inserendosi in una nicchia e non puntando al grande pubblico ma onorando e rispettando il passato.
Ed è quello che Marco Di Maggio fa ormai da anni con il rockabilly, una specie di dottor Frankenstein armato di chitarra che con le sue doti virtuosistiche riesce a infondere nuova linfa vitale ad un genere vecchio di settant'anni. Con tredici album alle spalle di cui due con la formazione dei TheDiMaggioConnection, arriva questo nuovo lavoro composto da 8 brani interamente scritti da Di Maggio e il suo collaboratore storico Francesco Chisci e tre interessanti cover. Di Maggio ama il genere che suona e lo dimostra onorandolo e rispettandolo, senza cercare strani crossover per modernizzarlo col rischio di snaturarlo. La formazione è quindi ovviamente formata da un classico trio chitarra/basso/batteria che vede, oltre a Di Maggio come al solito anche alla voce, Matteo Giannetti al basso e Marco Barsanti là dove sedeva D. J. Fontana. I tre sono riusciti a creare una complicità e una compattezza invidiabili, trovando il giusto compromesso fra il supportare la chitarra di Di Maggio e il comporre brani divertenti ma complessi.
Il terzo album dei TheDiMaggioConnection si apre con un brano che deve palesemente molto alla discografia di Johnny Cash (quasi troppo, almeno nel riff dei fiati) per poi presentare la prima cover, niente di meno che uno dei brani più iconici dell'hard rock, "Smoke on the Water" dei Deep Purple. In questo modo si viene a creare una situazione simile a quella che si formava quando Cash suonava cover di gruppi più recenti, dando un senso di straniamento temporale alla Marty McFly.
Fra le cover troviamo poi un omaggio a uno dei più grandi chitarristi di sempre, Stevie Ray Vaughan, attraverso la loro versione di "Long Way From Home", con ritmi ovviamente più serrati e un ottimo arrangiamento rockabilly, in cui l'indubbia capacità tecnica di Di Maggio viene risaltata ancora una volta, riuscendo nel difficile compito di affiancarsi senza sfigurare ad uno degli dei indiscussi della sei corde. E sarà infatti la chitarra a chiudere l'album con un brano strumentale, presentando tutti i componenti del trio come a rimandare alla sfera forse migliore per ascoltare il rockabilly, ovvero quella del live.
L'esperienza e la passione di Di Maggio è dimostrata dagli ottimi arrangiamenti nelle cover ma soprattutto dai propri brani, in cui l'anima rockabilly non si perde mai, costruendo un album compatto, ritmato e coinvolgente, senza mai uscire dal proprio intento e carattere.
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La recensione ROWDY di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-11-26 09:00:00
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