Un esordio davvero illuminato per i baresi Good Moaning, che con “The Roots” creano un solido ponte che unisce noise, folk e psichedelia
Nella nebbia fitta di un panorama anglosassone, cominciano ad intravedersi le prime luci dell’alba, con i colori pastello evocati dalla vibrante chitarra acustica che sorregge la delicata “Mother-Door”, brano che inaugura “The Roost”, album di debutto dei pugliesi Good Moaning dopo l’ep “Hello, parasites”. “Mother-Door” è insomma il flebile sole che, sorgendo, inizia ad illuminare un lavoro ricco di congetture psichedeliche strumentali su cui si ergono sognanti trame vocali.
Questo primo lavoro della band barese è un disco che si sviluppa morbido, brano dopo brano, in punta di piedi, senza però lesinare anche balzi verso il cielo e piroette, con l’eleganza di un balletto classico nella scenografia desolata di un “parco giochi abbandonato” (adoperando un’immagine che la band stessa propone nella sua presentazione), che sfugge alla vacuità attraverso l’introspezione e il tormento.
L’attitudine a collocare i propri intrecci in ambiente noise, espande una materia sonora alternative folk fino ad avvolgere completamente le scene e sbiadendone i contorni per focalizzare la propria attenzione sugli accostamenti di luci ed ombre, di inquietudine e respiro, di momenti elettrici e riflessioni acustiche, il tutto in un denso fumo lo-fi.
Le reminiscenze arrivano fino agli anni ’70 (“Incubus”) ma, dopo lunghe soste di ristoro negli anni ’90, si proiettano fino ai giorni nostri, legando Syd Barrett a Bon Iver, i Beatles ai Radiohead, chiudendosi con una poesia di gemiti à la Matt Bellamy in “Yousuck”, che suggella un lavoro viscerale e coinvolgente.
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La recensione The Roost di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-04-27 14:22:00
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