“Dis-integrazione” dei The Dirty Logic è un disco di alternative rock cantato in italiano ma è soprattutto una riflessione sulle “sporche logiche” di un mondo complicato a cui non ci si vuole rassegnare
Non è facile parlare di questo disco, “Dis-integrazione”, scritto proprio così, con quel trattino che separa la radice, come per distinguerla bene dalle altre lettere sottolineandone fortemente il distacco, il punto di rottura tra la positività dell’“integrazione” e la negatività trasportata invece da quei soli tre caratteri, “d-i-s”, che posti all’inizio della parola finiscono per farla affogare totalmente negli abissi della distruzione, un’altra parola che inizia con “dis”, come “disperazione”.
Non è facile parlare di questo disco perché esso stesso, come quel trattino, si pone come un drastico punto di rottura tra ciò che c’è stato prima e ciò che i The Dirty Logic saranno dopo questa fatidica pubblicazione, la prima per la band (che esiste sin dal 2010), ma anche l’ultima firmata dal suo ideatore, compositore e leader, Davide Franzoso, “autore di testi e musiche, voci, chitarre, basso, testiere e batteria”, come scrivono nella loro biografia. Una biografia di poche parole, essenziale come chi non ha bisogno di molte parole perché preferisce che sia la musica a parlare; ma una biografia utile a capire che questo progetto è stato partorito interamente dalla sensibilità e dal pensiero lucido e disilluso (un’altra parola che comincia con “dis”) del suo fondatore, Davide, che purtroppo pochi giorni dopo la pubblicazione di questo “Dis-integrazione” è stato colpito da un malore fatale. Adesso questa sua creatura musicale è diventata anche il suo testamento, il primo e anche l’ultimo lascito di un artista rimasto per troppo tempo nascosto ma che, come dimostra questo disco, aveva un grande talento e con la sua musica riusciva ad esorcizzare brillantemente un malessere profondo, universale più che personale: quello di una società alienante e insensata o il cui senso, se c’è, spesso ci sfugge, ma con la quale prima o poi ci troviamo tutti a dover fare i conti per andare avanti.
La canzoni di “Dis-integrazione”, surfando liberamente su sonorità alternative rock assimilate tra la fine degli anni ’90 e i primi anni zero, sono in grado di lacerare la carne e giungere fino al cuore; sono brani che tagliano in due il petto per farne uscire tutto il veleno accumulato, e poi curano le ferite attraverso una inesauribile voglia di vivere, di reagire e non lasciarsi sconfiggere dallo sconforto, che traspare dai testi, come sempre essenziali e funzionali alla musica (“ho una luce dentro ancora, se guardi tu la troverai”, da “Anima”, o ancora “Sarebbe bellissimo un mondo in cui non ci si odia più”, da “Hemingway”, che continua riflettendo sul fatto che “ci son troppe cose che non mi spiegano perché qui comandano gli umani ma son meglio gli animali”); ma una voglia di reagire che traspare anche dalla voce calda, dalle chitarre sferzanti e dalle poderose pulsazioni della sezione ritmica agitata come uno schiavo in fuga verso la libertà. La chitarra che spesso ama raccontarsi attraverso assoli discorsivi, il basso solido e la batteria frenetica, sono strumenti ruggenti e passionali che invitano instancabilmente all’azione, suggerendo che è l’unica cosa da fare per riuscire ad “integrarsi” in questo mondo e non a “dis-integrarsi” sotto il peso dei suoi orrori.
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La recensione dis-integrazione di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-05-12 12:44:21
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