Un breve ep che è solo l’inizio del nuovo percorso della band nata dalle ceneri dei Japan Suicide
C’erano una volta, ma non così tanto tempo fa, i Japan Suicide, che avvolti nel nero manto del post-punk riesumavano le ombre di gruppi come Cure, Joy Division e Bauhaus, sguinzagliandole e facendole vagare libere tra le città moderne. Durante questo loro peregrinare, quelle ombre (e con loro i Japan Suicide) devono essere ad un certo punto giunte simbolicamente in quel luogo a nord dell’India dove ci si reca per cercare purificazione e salvezza: la città di Varanasi. Proprio lì, immergendosi nelle sacre acque del fiume Gange, le ombre sono state consacrate e i Japan Suicide hanno ricevuto la loro illuminazione, giungendo alla conclusione che la loro missione con questo moniker poteva ritenersi brillantemente compiuta e per i cinque paladini del dark rock era ora di cominciare una nuova avventura.
Così Stefano Bellerba (armato di voce e chitarra), Saverio Paiella (armato di chitarra), Matteo Luciani (armato di basso), Leonardo Mori (armato di synth e tastiere) e Matteo Bussotti (armato di tamburi, piatti e grancasse), pur senza rinnegare le loro origini, hanno scelto definitivamente di scrivere testi in italiano, hanno tirato a lucido i synth lanciandoli in direzione shoegaze e hanno dilatato i suoni delle chitarre, mantenendo compatta la pulsante sezione ritmica. Con questo nuovo assetto, che non vuole costituire una rivoluzione ma una naturale evoluzione del sound della vecchia band, appropriatisi ormai del nuovo moniker Varanasi, i cinque si presentano ufficialmente al mondo con un dischetto eponimo di sole quattro tracce per circa un quarto d’ora di musica che ora gira maggiormente intorno ai soli di Editors e Interpol, a cui le liriche in italiano danno una marcia in più.
Di queste quattro tracce solo “Rosemary’s Baby”, il primo singolo, è realmente inedito, mentre gli altri pezzi sono stati recuperati dal vecchio repertorio e riregistrati con suoni più puliti, levigati e potenti e nel caso di “Mishima” (contenuto in “Ki”, l’ultimo album dei Japan Suicide, con testo in inglese) è stato scritto anche un testo diverso, questa volta in lingua madre.
L’operazione dei Varanasi è evidentemente solo all’inizio, il sisma è appena iniziato e il terreno non ha ancora assunto completamente la sua nuova forma, ma se la testimonianza più diretta di questa trasformazione della band è costituita da “Rosemary’s Baby”, con il suo testo ispirato, il ritmo trascinante, la strofa narrativa che accumula tensione verso il ritornello che finalmente prende il volo sulle ali dei synth e rimane inchiodato in testa, non vediamo davvero l’ora di ascoltare un lavoro più completo. Tra l’altro anche la fiducia riposta subito in questa band dall’immenso Gipi, il noto fumettista e illustratore toscano che ha disegnato la copertina di questo disco, è una dimostrazione in più dell’interesse che la musica dei Varanasi riesce a suscitare.
Una nota informativa: Spotify ci informa che il primo brano, lo strumentale che qui su Rockit gli artisti hanno nominato semplicemente “Intro”, si intitola in realtà “La grande onda”, un titolo significativo poiché la grande “wave” su cui surfavano con il vecchio progetto non li ha mai abbandonati ed è ancora presentissima anche in queste nuove sonorità.
Non possiamo sbilanciarci di più su questo lavoro breve e in parte recuperato ma sicuramente con questo ep i Varanasi meritano da oggi tutta la nostra attenzione.
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La recensione Varanasi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-11-18 19:29:14
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