Il disco dei Clevis Hat mi ha visto combattuto. La loro musica fonde strumenti acustici e diavolerie elettroniche in modo sufficientemente convincente, creando tappeti colorati ed altamente immaginifici. Le influenze interessanti ci sono tutte, dal gusto quasi acid-house nelle linee tastieristiche di "Sometimes" alle iterazioni glassiane di ipnotici pattern melodici in "Never Seen". Il tutto condito da un amore per il pop di matrice anglosassone, senza dimenticare le sonorità tradizionali del bel paese (fisarmonica in "Never Seen", il pezzo più emozionante dell' EP ).
E' la componente puramente melodica a non convincere quanto la parte strumentale, ed è un peccato. Se ci fosse più partecipazione nell'interpretazione probabilmente questo disco abbaglierebbe i fortunati ascoltatori. Insomma, anche i Kraftwerk non cantavano certo con il cuore in mano e si può citare una pletora di musicisti il cui successo fu dovuto alla glacialità interpretativa. Ma da una proposta "calda" come quella dei Clevis Hat mi aspetterei quel "di più", quel carisma che purtroppo ancora non riescono a far emergere.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-09-27 00:00:00
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