L'ecosistema di "Caduti liberi" ha il sapore di influenze precise senza esche nostalgiche. Buona l'esecuzione e lo stile.
C’è un livore sotterraneo e malinconico che emerge dall’indie pop, lo stoner e la psichedelia del bergamasco Alex Castelli. Oscillando tra abrasioni rock e momenti più strettamente cantautorali, l’album ripercorre una tradizione consolidata da Afterhours, PFM, Gazzè e altri ancora, senza il bisogno di rimarcarne la discendenza. La ricetta tuttavia non cambia, gli ingredienti rimangono sostanzialmente gli stessi, con il risultato di un piatto già assaggiato ma dai sapori ben emulsionati. Pensato e scritto per anime de-cadenti che trovano la forza di reagire sempre, l’album di oggi sonorizza una parentesi di disincantato equilibrio interiore e, attraverso registri melodici evocativi e liberatori, arriva dritto al punto.
Apre il disco “C’è di mezzo il mare”, sottotitolo: introduzione alla vita. Le sonorità pulsanti si cuciono addosso ai pensieri di tutti gli esseri umani assiepati alle fermate dei tram, verso l’imbrunire, quando ci si accorge che un’altra giornata è trascorsa e nulla è cambiato. Nemmeno la musica risolleva gli spiriti in caduta libera, perché non ha più molto da comunicare (“Stanno uccidendo la musica”) e la solitudine appare incomprensibile (“Solo”). I suoni si sporcano sul finale di “Salta” e di “Il dio che è in me” per tornare più schietti in “Panem et circenses” in cui la scrittura è lucida, con una buona messa a fuoco. “Tutto scorre” si apre ad un territorio sonoro lisergico e tirato; “Se”, in mezzo a ritmiche serrate, è un gioco di possibilità disattese.
Questo è l’ecosistema di “Caduti liberi” che ha il sapore di influenze precise, rimasticate senza esche nostalgiche; alcuni testi hanno poco mordente nonostante le sonorità ruggenti del disco ma le idee ci sono, oltre ad una buona esecuzione e ad uno stile accurato.
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La recensione Caduti liberi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-02-12 18:40:48
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