Se "Panico" ti fa accucciare in una poltrona a ripensare a tante cose grigie della tua Vita ("perché ti nascondo che muoio per te"); "Bordeaux" e "Un re" ti fanno ballare irresistibilmente ma come ballerebbe un tizio - Io, per esempio - con indosso una una giacca di velluto e un gilet bianco a costine.
Ancora: se "Il condominio" è un piccolo quadro surrealista dalle tinte pastello; "Franz" ti abbatte per la sua potenza emotiva con una coda strepitosa perché parla del Mondo e del marcio che c'è dentro; "Oggi è domenica" ti teletrasporta in piazza affianco allo strambo protagonista, il dottore, con la sua ritmica maledettamente easy; "Mancano i colpi" è un oscuro manifesto di rivolta al passato con inciso decisamente allucinogeno; "Il fannullone" è un affresco di certa gente che conosciamo tutti e ha pure fatto il botto l'estate scorsa perché è un modo di far musica che può piacere a molti ma non è cellophan. Non lo è. Proprio no.
Continuo, continuo: se "La verità che adesso tace" è un nuovo invito acustico a raccogliersi in sé stessi, e parla dell'inevitabilità di certe cose e di quel pazzesco peso grosso come Roma intera, come se avessi il Colosseo sul petto, che tutti proviamo quando lasciamo e siamo lasciati che è uguale, anzi è peggio. E ti viene da dire che, le ballate, così si fanno.
Se "Tito" è ancora un ritorno - mai banale, efficace, intensamente sentito - sulle tematiche nostre, quelle dell'Attualità, quelle della giustizia che ormai gira male, quella di chi "spavaldo vince ingiustamente, [compete] con trucchi di magia / e [ride] dell’immoralità".
"Testa d'aglio", poi, non so che dirvi: è impossibile star fermi ma nemmeno perdersi una parola: sembra un incrocio fra un pezzo di Gaetano e una cantata rupestre di una nonna con - appunto - la "testa d'aglio". Salvo un inciso elettrico trascinante. Perfetta. Con "Un re" è il pezzo del disco: gustosi.
Insomma: se dopo tutta questa carrellata di musica elegante, intelligente, pulita, cesellata. Se dopo questi 14 pezzi (mancano "Le scarpe dell'orco" e "I cuochi") non puoi, non posso per come hanno reagito i miei ormoni ma anche per quel che tecnicamente c'è dentro, che fare una sola cosa: dire che questo è un disco bellissimo.
E' il lavoro di un gruppo che se ne frega di tutto, ma vuole fare musica popolare. Non vuole sputare sui giovani, ma regalare loro un gioiello di disco. Trasversale, multiplo, pieno di picchi sudoripari. E allora si è rimboccato - con l'aiuto della bella etichetta consoliana Due Parole - le maniche, i bassi, le chitarre e i tamburi per trovare soluzioni che rimanessero semplici, dirette, dirompenti sotto certi punti di vista. Ma Nuove. Belle. C'è un approccio così apparentemente ingenuo - eppure devastante nei risultati - da lasciare aboccaperta. Davvero.
Georgia Costanzo modula la voce come fosse un cannone carico a margherite: sussurra, urla, ci lavora, lima, riparte. Ammicca, è affascinante, sensuale: una di quelle voci che fantastichi per ore su quale faccia ci sia dietro. Salvo poi capire che ti basta la voce. Il resto della band costruisce impeccabile.
Se quando finite di ascoltare un disco siete sudati, perché quel che avete sentito non l'avevate mai sentito prima. Perché vi stupisce ma trovate anche bello l'approccio pittorico per "quadri scenici" che c'è nel disco, organico e sensato, allora cari miei siete davanti ad un gran disco.
E' il caso di "Cari miei".
---
La recensione Cari Miei di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-11-08 00:00:00
COMMENTI