Il primo album del combo meneghino trasporta in mare aperto, tra momenti di quiete ed esplosioni tempestose
Dalle suggestioni malinconiche di ambienti notturni sembrano propagarsi le linee melodiche delicate dei brani di “Komorebi”, primo lavoro sulla lunga distanza sfornato dai Flamingo, band capitanata da Lavinia Siardi (voce e chitarra) e completato dal basso, i synth e i cori di Iulian Dmitrenco e dalla batteria e i synth di Giacomo Carlone, che è anche produttore del disco. Dopo l’EP omonimo pubblicato nel 2016, di cui già avevamo apprezzato quella particolare capacità di mostrarsi (citando la mia collega) “rosa come un animale da fiaba, nero come la sua ombra”, ovvero quel contrasto suggestivo tra delicatezza e inquietudine, tra passione e tormento che ritroviamo anche in “Komorebi”, il combo meneghino propone 10 nuove tracce che navigano su acque dream pop timonando un’esile barca dalla forma shoegaze ma costruita con materiale electro rock.
Si comincia a remare tra i rumori della breve intro affidata a “Where it ends” ma già da “Rose” si avviano i motori e si tagliano le tempestose onde con un ritornello appuntito in cui la voce danza soave su una base potente, distorta e solenne. Le acque si calmano con le successive “Tokyo” e la struggente “Mother” ma la calma dura poco perché già con “Wish you the best” si percepisce quel senso di quiete prima della tempesta, infatti l’uragano comincia ad abbattersi già sul finale del pezzo per poi infierire ulteriormente con i fulmini e le saette di “Corrupt” e il suo oscillare tra pioggia scrosciante e nuvolosa tregua. Finalmente un timido sole, ancora tenue e invernale, si affaccia nella title-track e le nuvole si allontanano pian piano al soffio impalpabile della voce di Lavinia nella prima parte di “(Sinking) in my blood” benché il mare non è ancora tranquillo e le sue onde imperversano nel finale violento e ipnotico che spinge l’esile barca di “Komorebi” ancora più a largo, dove viene travolta dall’oscurità e dalla furia minacciosa di “The wind cave”. Alla fine la barca è completamente distrutta e si resta a galla solo sulla struttura piano e voce scarna e minimale di “Melancholia”, che chiude questo viaggio avventuroso.
Forse non ancora personalissimi, i Flamingo dimostrano comunque grande capacità evocativa e il dualismo di cui si impregnano i loro brani lascia sempre con il fiato sospeso, curiosi di sapere come andrà a finire.
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La recensione Komorebi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-02-28 11:41:48
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