Passato e presente, tradizione e ricerca. Le Corde Oblique e l’acqua sulla luna.
Un inizio e una fine. Un prologo e una conclusione. Il settimo album delle Corde Oblique si apre e si chiude con “Almost Blue”, una scheggia strumentale divisa in due parti, una manciata di minuti in bilico tra dream pop e un accenno di post rock. Quasi a voler sigillare (a preservare?) il contenuto di un disco che, in realtà, prende direzioni altre, impegnato com’è a coniugare passato e presente, tradizione e ricerca.
Il legame con gli anni ’70 è evidente, e le Corde Oblique fanno poco o nulla per nasconderlo. Il gusto della sperimentazione, le voci, in particolare quella di Caterina Pontrandolfo, così forti, piene di pathos, di espressività, le melodie (in gran parte acustiche) pulite, raffinate, legate in qualche caso ai richiami alla musica antica (idem per quel che riguarda i testi, che potremmo definire, non senza forzare la mano, di ispirazione fantasy), le svisate del violino, le arrampicate di Riccardo Prencipe, anima riconosciuta della band napoletana, verso vette dove già si era arrampicato un certo Tim Buckley (basta ascoltare la parte finale de “Il figlio delle vergini”), rendono “The moon is a dry bone” un disco maestoso, quasi teatrale, perfetto nel suo insinuarsi tra atmosfere orgogliosamente prog ed echi di Saint Just. Atmosfere figlie legittime di un folk ancestrale, quasi paganeggiante.
L’altra faccia della medaglia sta tutta nel caotico nervosismo della title-track, nella cover di “Temporary Peace” degli Anathema (sì, degli Anathema!), nei cameo di Miro Sassolini (voce in “Il terzo suono”) e Andrea Chimenti (che interpreta “La strada”), in una “Le torri di Maddaloni” che, con ogni probabilità, sarebbe piaciuta a David Byrne: avrebbe impiegato meno di un istante a inserirla in una qualche compilation della sua Luaka Bop.
Merita una considerazione, sia pur breve e doverosamente frettolosa, anche il titolo scelto per identificare l’album: “Sotto la superficie, la luna è secca come un osso. Non puoi spremere il sangue da una rapa e apparentemente non puoi nemmeno strizzare l’acqua dalle rocce lunari”, recita il comunicato stampa di presentazione di “The moon is a dry bone”. Ecco, le Corde Oblique se ne son fregati delle rape, ma l’acqua dalla luna l’hanno, in qualche modo, tirata fuori. È quell’”apparentemente” che, alla fine, ha scavato la differenza.
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La recensione The Moon Is a Dry Bone di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-05-11 22:12:00
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