L’esordio del cantautore campano è una piccola gemma folk di melodie contagiose, piena di vita e malinconia.
‘Prénatal’ sembra uno di quei titoli con una parola strana e al contempo familiare, buttata un po’ lì fuori contesto, e forse lo è. E forse invece è il titolo perfetto per un album personale come questo. Le voci di un vecchio VHS di famiglia in L’orologio del mattino e gli uccellini di Entrata sul Retro del Parco Rosso segnano i confini di una sorta di cerchio magico, che taglia fuori il mondo e ci trasporta in un paesaggio il cui orizzonte è interamente riempito dalla testa del cantautore afragolese, o forse direttamente al suo interno. In ‘Prénatal’ D’egidio, o semplicemente Egidio, è protagonista come si può essere protagonisti solo nello spazio uterino, quando il mondo fuori non esiste e tutto galleggia in dolce liquido materno, dove abbandonarsi comodamente in posizione fetale e farsi cullare. Ovviamente che il mondo fuori non esista è solo un’illusione, i suoi rumori, colpi e scossoni possono arrivare fortissimi anche attraverso uno strato amniotico che ne assorbe la botta. L’amore, il sesso, la nostalgia, qualche rimorso e una sorta di senso di dannazione personale, tutto irrompe con violenza nei versi del disco, ma ne accusiamo i colpi attraverso un velo di distanza malinconica, di tenerezza complice e intima. E’ per questo che il folk di D’Egidio si agita, si surriscalda, ché in fondo ‘uterino’, con una sfumatura forse poco corretta, vuol dire anche ‘irrazionale, istintivo’. Ma non esplode mai veramente, anche quando si dilata in tirate post-folk (Entrata sul Retro del Parco Rosso), flirta col rock o tira fuori un attitudine folk punk à la Zen Circus o Il Pan del Diavolo (Romita, Nuria). E’ un disco, in fondo, tanto denso quanto essenziale. Ci sono delle ottime chitarre, una vocalità molto personale fin dalla dizione, pochi altri dettagli sonori, tanto più importanti quanto sono pochi (Violenta, Romita); ci sono dieci brani dal carattere diverso, tenuti insieme da una visione melodica precisa e contagiosa, con alcuni motivi che ritornano più volte (Fondo, Sottofondo), a legare l’album in una sorta di lunga suite divisa in movimenti. E’ per questo che per provare a entrare in ‘Prénatal’ ci si deve prendere 25 minuti di tempo con la predisposizione d’animo giusta, entrare a capofitto, lasciare che l’album si racconti da sé e uscirne solo dopo la decima traccia. Poi ci sarà il tempo di accorgersi che canzoni come Toracica o Nuria vi sono rimaste attaccate come ami alle orecchie, che Fondo e Viktorovich si sono infilate in testa come filastrocche, canzoncine per bambini grandi e un po’ tristi. A quel punto forse tornerete a saccheggiare il disco insistendo su questo o quel pezzo. Potrebbe durare un po’ e fare a momenti un po’ male, ma ne varrà la pena.
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La recensione Prénatal di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-04-17 13:37:10
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