Sono d'accordo. Il Sud Italia è sempre stata terra di infinità creatività. Terra di idee, di sudori, di passioni. E non voglio fare la solita tiritera.
Però c'è davvero poco da dire: continuano ad arrivare lavori divertenti, frizzanti, che mischiano e lo fanno non bene: benissimo. Lavori che se li metti nel lettore e non balli-salti-canti-ridi non sei normale.
Ma anche testi sottili, mordaci, chirurgici, magari bastardi che passano sottopelle contaminandoti e ti infettano la testa con i dubbi, le frustrazioni e le piaghe di quel Mondo laggiù. Che tanti considerano un altro Mondo. Ma che è sempre il nostro. Sempre.
Dall'ultimo dei Bisca e di Teresa De Sio, virando - di parecchi chilometri - al Salento dei Nidi d'Arac e via elencando.
E' roba buona, roba fatta con dovizia, inventiva, umiltà. Ogni disco è una storia a sé.
Il discorso è da elevarsi all'ennesima potenza se applicato all'ultimo disco di Maurizio Capone - poliedrico, come direbbero molti critici della carta stampata, musicantantecompositore che ha già messo in bacheca quattro dischi da solo - e della sua strampalata congrega di percussionisti stradaroli armati di lattine, lamiere, bidoni e chiavi inglesi.
Non favello ma semplicemente sottolineo che il disco è prodotto solo attraverso un (credo diffcilissimo) lavoro di composizione di suoni derivanti da materiali di scarto e di ricilo o da oggetti di uso comune. E quindi, che so, questi usano la bottiglina dello yogurt riempita con pezzetti di busta della spesa per fare il kazoo o il bollitore del latte per lo xilofono. Tutto il disco così. Tutto.
Ma la cosa più stupefacente è che li "suonano" da maestri: tirano fuori un groove davvero esaltante. Compatto, pulito, trascinante. Estasi. Che se pensi ai fighetti che passano la giornata nei negozi di strumenti musicali per uscirne con pezzi costosissimi - e per suonarli come sappiamo - mi viene da ridare beffardamente. Sotto i miei baffetti insomma. Punto primo.
Punto secondo: l'album dura esattamente quanto deve durare un lavoro di questo tipo. Un'ora scarsa di napoletan groove che senza mai lasciarti mezzo minuto di tregua gioca tranquillamente con l'hip-hop (sempre più mi convinco che il vero hip-hop forse, in Italia, lo sanno fare solo da Napoli in giù) il funky, il reggae sposandoli con intarsi rock, dub, calypso.
Dando vita a quello che può ben dirsi prototipo ed anzi emblema del pop partenopeo contemporaneo. Altro che etnica, world e tutte le formulette catalogatrici che ci scrivono pure i libri. Qui c'è musica popolare: world al solo patto che da Napoli parte, fa un gran bel giro e torna per poi sbarcare comunque e sempre sulle coste di Partenope.
Dentro c'è di tutto: dalla denuncia - bella, coraggiosa, lucida, che la dovrebbero far sentire nelle scuola al posto dei documentari di Piero Angela di vent'anni fa, maledizione! - di "Crack", che apre prorompente l'album, fino ad una deliziosa cover del pre-rap di "Prisencolinensinainciusol" del Molleggiato (e infatti supporta il disco anche Claudia Mori) passando per momenti più easy in stile reggae-calypso-vivi-e-godi-la-vita tipo "Come il sole" o la chiusura di "Chell'che è stato" anticipata dal tripudio a quello africano, di sound, di "Junk re-music".
Qui c'è internazionalità. Ma c'è anche musica etica. Altro che etnica. Con una enne in meno. Che non sputa sui giovani, ma li tira in salvo. Li fa pensare, saltare, sudare, lavorare. Per capire. E Capone lo sa bene, da ben prima che arrivassero Azeglio Ciampi, i Carabinieri, il Tg1 di Mimun ed il Tg di Raicinque di Rossella grancasse e divise mentre a cento mentri si bucavano - ricordate qualche mese fa? Lui a Scampia e Secondigliano ci fa volontariato insegnando musica. Prima, insomma, che il baraccone vi concentrasse per un microsecondo il teleobiettivo, con discorsi e proclama al vento, baracche e trambusto che mancava solo Albano ma c'era Nino D'angelo.
E anche in "Lisca di pesce" Capone non si smentisce: fa (buona) musica, diverte, intrattiene, sta in strada. Mischiando come un moderno Merlino del Sud tutto quel che c'è da mischiare. Facendo del nuovo dal vecchio e - nel vero senso della parola - dall'usato.
Ecologia della Musica. Recupero di motivazioni. Applausi a scena aperta (almeno in camera mia).
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La recensione Lisca di pesce di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-11-26 00:00:00
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