L'esordio del chitarrista lombardo è un buon album country e blues elettrico, che manca di un po' di personalità e rischia di eccedere in manierismo
Diciamolo subito, non c’è niente che realmente non va con ‘Introspection’ di Matteo Corradi. Formalmente, il primo album di inediti del chitarrista blues/country dopo vari anni di gavetta con le cover, è impeccabile. Il musicista lombardo ha buon gusto e sound, influenzato dai maestri del rock blues, Eric Clapton in primis, ma anche dal tocco particolare di Mark Knopfler, e dalla sei corde country, nella duplice veste dello stile più classico e di quello country rock alla Keith Urban. La band lo segue bene, con una buona gamma di suoni, da armonica e sax fino al violino e alla lap steel guitar; al microfono si alternano ben sei voci, quattro maschili e due femminili. Si spazia in una gamma che va dal rock springsteeniano (Open Your Eyes) al country/blues (Right This Wrong), fino al pop rock alla Sheryl Crow (Rise), sempre con una spessa patina pop a ricoprire le melodie e gli arrangiamenti, sempre curati e funzionali, dallo stile abbastanza classico. E’ anche questa patina, unita alla varietà di interpreti, a negare un’identità chiara alle otto tracce dell’LP e dare l’idea di un lavoro professionale ma per certi versi manierista; una buona carrellata di canzoni rock, country e blues, scritte ed eseguite con gusto, ma che faticano a distinguersi da altri prodotti del genere e a rimanere fedeli ad un’idea definita e personale.
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La recensione Introspection di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-05-28 20:08:00
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