Un album sfaccettato che ci presenta il folksinger in una forma smagliante e forse più matura
Silva Cantele è uno dei folksinger più prolifici del nostro paese, dentro e fuori dal folk: punk hc con i Radio Riot Right Now, rock n’roll con Miss Chain&the Broken Heels, poi voce e chitarra con l’alias Phill Reynolds e un viaggio nel folk/blues che in meno di dieci anni ha partorito già una manciata di uscite fra album in studio, split, partecipazioni a compilation, raccolte di cover e memorabilia. Questo ‘A Sudden Nowhere’ è il secondo full lenght del progetto, una raccolta di canzoni che affonda le radici nel periodo di un tour negli Stati Uniti del 2017 e vede la luce adesso, in un periodo di stasi e tribolazioni che ne ha necessariamente plasmato le forme. La musica di Phill ha quell’attitudine nomade in senso fisico e concreto, naturale per chi è cresciuto musicalmente sulla strada, viaggiando di live in live. In questo momento invece si può viaggiare solo con la testa e, per quanto possa sembrare retorico, questo album riesce a farlo, muovendosi nello spazio e nel suono. ‘A Sudden Nowhere’ è un lavoro di ampio respiro, che abbraccia l’idea del folk oltreoceanico con tutte le sue implicazioni umane e ramificazioni sonore, ne ripercorre il mito senza adagiarsi sull’archetipo, per poi lasciarsela comodamente alle spalle.Tracciando un percorso che va dall’indie/neofolk alla Micah P. Hinson (Is It Painful) fino alle sorgenti del folk, abbeverandosi alla fonte di Woody Guthrie e Leonard Cohen (They Call Him Rocknroll, Nancy), passando per tutto uno spettro di paesaggi e umori spuri: il blues rock masticato di Time Is Now, con reminiscenze di un Tom Waits addolcito, la dannazione southern gothic di A Pain I Need che è un lamento western alla Mark Lanegan. Una rotta decisamente più articolata rispetto ai precedenti lavori, ma che prosegue un percorso iniziato con ‘Love and Rage’ verso un folk complesso e multiforme, nella lezione spirituale di Bon Iver o Sufjan Stevens. Parlano questa lingua le tre tracce strumentali, il dobro alieno di Nostra Cresia De s’Arena o lo zenith dell’album, l’evocativo mantra post-folk di You’ll be fine (un incoraggiamento, per inciso, che accettiamo come un balsamo sonoro rispetto alla sterilità generica dell’”andrà tutto bene”). C’è anche qualche indizio di una possibile direzione nuova: Officer per esempio è un gioco funkeggiante di ritmica e voci che sembra aver preso la parte migliore di un certo pop di qualità degli ultimi anni saturo di blues, soul e gospel, vedi alla voce Hozier o Rag N’Bone Man. ‘A Sudden Nowhere’ è un album forse meno compatto dei precedenti lavori di Phill, ma in compenso presenta una cifra stilistica per certi versi nuova, più matura, e che siamo sicuri può andare lontano.
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La recensione A Sudden Nowhere di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-01-12 00:00:00
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