Nero è il barrio, nero è il monte degli dèi. Il pop kolossal di Mahmood straborda di suoni e di voglia di raccontare.
Ghettolimpo è quel tipo di album che arriva a completare l'eruzione di una stella del pop quale è Mahmood. Il modo migliore per continuare dopo l'enorme successo del 2019 - tra Sanremo, Eurovision, un disco splendido e le mani in pasta in più di una hit - era mettersi al lavoro, sbattere la testa sulla realtà, chiudersi a studiare per dare vita a un kolossal. Questo è avvenuto, ma non possiamo nemmeno dire che il Nostro abbia semplicemente fatto tutto giusto. L'accontentarsi porta ad annoiarsi e autocompiacersi.
Tutto quello che mancava al Famoso di Sfera Ebbasta trova spazio in Ghettolimpo. Innanzi tutto una concretezza vera, capacità simbolica nella comunicazione per immagini, sincerità emotiva anche nei momenti più leggeri. Il vettore di questo secondo viaggio di Mahmood è completamente verticale, e gioca a invertire la direzione di salita e discesa, facendo percepire una forte cupezza e perdita graduale di tranquillità. Anche nel finale Icaro è libero racconta una rottura delle catene che si porta appresso la nerezza del passato - "Mi han tagliato le ali a colpi di cesoia/Per non farmi tornar di volare mai la voglia" - e una macchia quasi indelebile appiccicata addosso.
Ad essere nero non è solo il barrio, ma anche il monte abitato dagli dèi greci, cantati esplicitamente nella traccia iniziale, ma sempre ricorrenti in quello che pare un concept dai contorni labili. Non siamo in un romanzo a puntate ma in uno sceneggiato immerso nella realtà virtuale, dove si possono assumere le fattezze dei quattordici personaggi creati ad hoc per ogni canzone. Il prolungamento dell'enorme immaginario che Mahmood sa creare va nella narrazione pura, nella cura per il dettaglio della caratterizzazione, e nell'omaggio della sua seconda cultura di discendenza, quella sarda, tributata con l'inserimento di No Potho Reposare dei Tazenda nella bellissima T'Amo.
In tutto questo la qualità della musica cresce vertiginosamente. Avere la gente giusta nella composizione e nella produzione porta inevitabilmente a sfornare una hit dietro l'altra. E la squadra al lavoro in Ghettolimpo - Dardust, Katoo, Fugazza&Grilli e Woodkid, ospite speciale in Karma - arriva a forgiare un suono che evolve direttamente da Gioventù Bruciata, ma si concede di perdere le staffe in più momenti, mantenendo grande orecchiabilità anche oltre i limiti confortanti del pop contemporaneo. Le influenze sfumano una nell'altra, così come è sfumato l'uso della voce di Mahmood, sempre cristallina e imprevedibile anche quando in preda alle distorsioni di Kobra. Speciale è anche la pagina featuring, perché oltre a Sfera e Feid nella già celeberrima Dorado, in Rubini la presenza di Elisa non solo è perfetta, ma testimonia il continuo lavoro di malleabilità che l'interprete triestina sta mettendo in atto con grande successo.
Ghettolimpo non è un disco che deve dimostrare qualcosa, e la sua bellezza inizia a sprigionarsi da questo. Quando si evita di forzare le maglie dell'edonismo-a-tutti-i-costi si dà la sensazione di aver fatto qualcosa con enorme semplicità, ma l'apparenza inganna quasi sempre. Una volta entrati nelle maglie di questo lavoro se ne riconosce l'ampiezza, la stratificazione, e perché no, anche la sofferenza che sta alla base. Una sofferenza rispettosa, che sta lì senza richiedere compatimento. Ci si spinge via da lei cantando le mille note dell'anima di Mahmood.
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La recensione Ghettolimpo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-06-15 15:35:00
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