Un "concept ep" sulla moderna Odissea che ognuno di noi si trova ad affrontare, paradossalmente penalizzato dalla troppo impostata allegrezza diffusa nell'opera.
Sette tracce per i sette giorni della settimana, unite tutte dal comune intento di raccontare le fatiche che le persone comuni dei nostri tempi si trovano ad affrontare, tra prospettive di futuro traballanti, pandemie, rapporti – personali e lavorativi – sempre più precari…è questa l’idea che sta dietro a Odissee Metropolitane, concept ep di Berardi, cantautore pugliese trapiantato a Milano al suo terzo disco. Le sonorità scelte per musicare questa epica della quotidianità sono largamente debitrici al synth-pop anni ’80, con occasionali deviazioni dal sentiero come in Rider – brano dalle tonalità più dark che lo fanno suonare molto british – e in Ti Abitui, dove un sassofono intrigante accompagna lo svolgimento dell’intera canzone, culminando in una coda strumentale particolarmente azzeccata.
Purtroppo non è tutto rose e fiori. La narrazione dell’album, sia sul versante musicale che testuale, soffre di quella che si potrebbe definire una lieve ma pervasiva forma di jovanottismo: vale a dire, quella particolare condizione per cui si tende a infilare forzatamente allegria e spensieratezza in ogni contesto possibile, a prescindere da quanto questa tonalità emotiva sia effettivamente appropriata alla situazione. Se da un lato questa sembra una scelta stilistica piuttosto consapevole (Berardi definisce l’album un “ha-ppy (ep) concept”, e versi come “lo vedi c’è poesia dentro la leggerezza”, da Thailandia, lo dimostrano), dall’altro non si riesce a non coglierne la stucchevolezza: in un disco che si propone di raccontare la quotidianità della persona media, non riesco davvero a sentire come ancorato alla realtà un approccio così carefree. A riprova di ciò, i due brani che si staccano dal lotto in quanto ad atmosfere (i già citati Rider e Ti Abitui) sono quelli che complessivamente suonano come più sinceri e “reali”, volti come sono a infilarsi nelle pieghe più complesse e meno scontatamente banali della vita.
Complessivamente Odissee Metropolitane non è un brutto disco, anzi. C’è cura e talento nella costruzione dei singoli brani, figli di un’attenzione che sboccia solo dalla passione per ciò che si sta facendo. Le difficoltà nascono piuttosto dall’attitudine che permea l’ep, un approccio che rischia di far suonare come ingenuo un disco musicalmente valido. Il consiglio è quello di provare a immergersi anche nel lato più oscuro della quotidianità: se non altro, lì dovrebbero avere i biscotti…
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La recensione Odissee Metropolitane di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-01-31 01:39:00
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