Che poi, ad un certo punto, ti stanchi del solito panorama che ti si presenta davanti agli occhi. Dei quattro gatti che parlano, sparlano e arricciano il pelo alla sagra delle indipendenze nostrane. Di un termine – indie – che viene affibbiato a chiunque, dai Red Worms' Farm a Pupo, col tipico atteggiamento da faccia di bronzo che nel Belpaese ormai è arte prima ancora che abitudine.
E te ne vai. Decidi di mettere un oceano tra te e certe decadenze che tagliano le gambe e ammazzano i sogni prima che sorga la luce del sole. Destinazione Austin, Texas. Da Catania. Diane And The Shell. Un lavoro, "The Red Ep", che peccava d'inesperienza (urgenza?). Post rock rachitico. Lontano dall'epica che era lecito attendersi. Tre anni dopo, la band si rimette in moto. In panchina un allenatore tosto e vincente come Agostino Tilotta, che basta pronunciare la parola Uzeda per capire con chi abbiamo a che fare. E la formazione prende vigore, irrobustisce le trame e rinforza le armonie. Giocare di forza ma con la testa sulle spalle. Meno post – che pure non manca – più math. Un po' Rumah Sakit (per certe sfuriate dannatamente noise e stupendamente melodiche), molto Tortoise (per i fraseggi chitarristici che declinano il jazz al tempo dell'avanguardia), 100% Diane And The Shell.
"30.000 Feet Tarantella" ridefinisce il suono della band catanese, ne svela gli obiettivi e ne concretizza le ambizioni. Struggente quando i pianoforti decorano i brani con la stessa delicatezza della neve che sbianca malinconica il nostro sguardo d'inverno ("Suite For Bancomat"). Ossessivo – ma non ossessionante – quando disegna riff che a Chicago se li ascoltassero farebbero la ola ("India Tango"). Credibile perfino quando accompagna sull'altare la tarantella per celebrarne il matrimonio col post rock (il pezzo che dà il titolo all'album).
Diane And The Shell, quindi. Cervellotici quanto basta per soddisfare coloro che alla musica chiedono dissonanze e intransigenza. Emotivi quanto basta per sorprendere quelli che pensano che il genere ormai non ha più nulla da dire. Melodici quanto basta per attirare qualche neofita che magari bazzica altre zone sonore. A conti fatti, quasi un primascelta.
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La recensione 30.000 Feet Tarantella di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-02-02 00:00:00
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