Questa nuova uscita Betulla records può definirsi una modesta cantonata. La stima e l’affetto che provo per la label cuneese rimane immutato, ma la sincerità vuole che si ammetta che quello degli Spring Sale! non è un debutto dei migliori. E mi scuserete se la prendo un po’ alla larga per parlarvene ma forse è meglio così.
La scorsa settimana ho rivisto “Los Angeles senza meta” con Jonnhy Depp, Vinessa Shaw, Vincent Gallo, fatto da chissà quale regista agli sgoccioli degli anni ’90. E la trama rispecchia un po’ le aspettative di quegli anni: una ragazza di Los Angeles (Vinessa Shaw), bellissima, acqua e sapone ma con precise intenzioni a entrare nello star system Hollywoodiano, incontra in Scozia uno sfigato che ha una ditta di pompe funebri. Uno sguardo e lui è andato. Si innamora e va alla sua ricerca nella città degli angeli portandosi dietro solo la sua locandina preferita, “Dead Man” - il film di Jim Jarmush -, un poster magico dove l’attore protagonista (Jonnhy Depp) ha la capacità di prendere vita e dare consigli. Insomma, Jonnhy Depp diventa il suo angelo custode celeste pronto a difenderlo da tutto. L’angelo terrestre, invece, è Vincent Gallo, un netturbino delle piscine che inizia a prendersi cura del nostro sfigato scozzese e lo mette in guardia dai pericoli della città, da quanto il cinema può essere crudele e quanto l’amore doloroso. La coppia – lo sfigato e la bella - non funziona, cioè, all’inizio si sposano ma poi lei scappa con un regista che la tratta male ma lei ci sta lo stesso. Anzi.
Gli Spring Sale! sono un po’ tutto questo. Una coppia di losers - anche se a Cuneo questa parola conta poco – a cui cade addosso la fortuna di avere un grande talento capace di riassumere in un disco tutto il mondo indie degli anni ’90. Barlow, Mascis, Malkmus, Pale Saints ecc ecc. Shoes e Shoegazers. Skateboards e lacrime d’amore. Credetemi, queste canzoni messe in bocca ad altri sarebbero la vera nuova rivelazione della musica indie italiana. Vuoi per i riferimenti e gli ascolti, ormai non più così in voga. Vuoi perché si andrebbe alle vere radici dell’indie: niente sesso, droga. Niente rock ’n’ roll. Solo grandi patemi esistenziali e ginocchia sbucciate. Dicevo, in bocca d’altri, perché loro due sono proprio stonati. E non c’è altro tipo di interpretazione che possa chiamare questo in altra maniera. I cantati sono quasi monocorde e le canzoni diventano quasi tutte uguali. Si perdono tutte le ricercatezze dei suoni e le atmosfere. Diventano 56 minuti – effettivamente potevano iniziare con un opera un po’ più breve – troppo pesanti per un ascolto unico. Ovvio, anche i nomi citati prima lo erano – stonati intendo - ma effettivamente non so fino a che punto valga il paragone. “Drown yourself …” è un disco bellissimo, ma cantato malissimo. Può darsi che vengano capiti ugualmente, che vengano acclamati come dovrebbero essere e che per il prossimo disco si mettano in quadro. Dopo tutto anche il film di cui sopra, alla fine, ha un happy ending. Lo spero. Alla prossima uscita, quindi. C'est la vie, mon amie
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La recensione Drown Yourself In Shoes And Sweaters di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-09-29 00:00:00
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