Il nuovo album del quintetto laziale si intinge di classicismo hard rock con tendenze heavy prive di diramazioni stilistiche. Nulla di eclatante, ma non deve per forza trattarsi di un difetto
D'accordo, possiamo intavolare tutte le discussioni che vogliamo in merito a passatismi, dietrologie e continui tentativi di sopravvivenza indotta per generi che, se non affrontati con intenzione e spirito giusti, rischiano di sotterrare definitivamente gli attrezzi del mestiere nel cimitero degli eterni luoghi comuni. Ma una cosa è campare solo di nostalgia, ben altro è farlo con la consapevolezza di sviscerare cloni provando a renderli, però, quanto più personali possibile per capacità di scrittura e consapevolezza di ogni singolo limite di genere.
Quello che i Radio 8 sprigionano nel primo vero album completo, Disconnect, tra riff e strutture di stampo ormai annoverabile come classico, è certamente qualcosa di tutt'altro che nuovo o considerabile come meritevole di più attenzione rispetto ai millemila prodotti similari in circolazione non solo tra le mura di casa nostra, ma almeno riesce a manifestarsi in qualità di sincera testimonianza di un irresistibile, puro e sempre necessario desiderio di ritrovarsi tra le mura di una cantina per grondare sangue e sudore facendosi – e rompendosi – le ossa su ogni grammo di energia speso e riguadagnato.
Un album come Disconnect non propone nulla di particolarmente diverso da ciò che negli ultimi quattro decenni, almeno, abbiamo ampiamente imparato a conoscere, divorare e digerire assorbendone il potenziale nutritivo. C'è un po' di tutto tra rock'n'roll duro e puro di stampo melodico 'catchy' (Radio hate) con infarinature NWOBHM (Memories, Party), immancabili escursioni ballad (Lullaby, Raise) talvolta con spunti sabbathiani (Woman), fluttuazioni Deep Purple sempre dietro l'angolo (Highway, Loser's victory), rimembranze Judas Priest in salsa hard blues (War dogs) e suggestioni da primissimi Iron Maiden periodo Di'Anno (Still here). E ci sono anche diversi e rimediabili difetti, tra cui una non certosina cura del suono in sede di registrazione e missaggio mista a una non ottimale resa esecutiva e vocale. Ma poco importa perché le idee, anche se semplici ed evidentemente prive di una qualche particolare originalità nelle scelte stilistiche, ci sono, si fanno sentire e lasciano sperare in future produzioni di caratura gradualmente superiore.
Sconsigliato per chi cerca nuovi spunti uditivi in produzioni tricolori attuali. Buono per chi non smette mai di tornare sui propri passi con serena dedizione alla causa.
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La recensione Disconnect di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-05-17 20:19:16
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