Il nuovo imperdibile album del duo The Turin Horse è quanto di meglio si possa ottenere da intenzioni catartiche votate alla deflagrazione sia sonora che concettuale
L'urgenza non avrà mai fine e mai peccherà di senso né di scopo dove l'idea, la conoscenza di sé e la necessità di esternazione senza paletti né limiti di sorta sono di casa e imbandiscono un banchetto in favore di produzioni discografiche ricche di contenuto anche se di forma complessa e non adatta a tutti. Ma è l'Arte stessa, si sa, a non essere per tutti, perciò ben venga – sempre – il Grand Guignol del concetto che si fa vita reale e invade la quotidianità delle emozioni per disvelarne i lati più oscuri e, proprio per questo, tenuti a bada dall'inconscio collettivo delle comuni opinioni.
Non devono ingannare i tre anni e più di gestazione, perché la sostanza capillare di un album come Unsavory impurities e, al contempo, di un intero progetto esistenziale – prima ancora che professionale – come quello del duo torinese chitarra / batteria The Turin Horse – al secolo Enrico Tauraso e Alain Lapaglia – di urgenza e Arte ne ha letteralmente da regalare. Tre giorni di registrazione in presa diretta post lockdown bastano e avanzano per raggiungere lo scopo e abbattere il muro di esigenze espressive che, passo dopo passo, raggiungono un livello di sublimazione apocalittica accarezzato anche da maestri di respiro internazionale (l'insito riferimento all'omonimo film del genio ungherese Béla Tarr, Il cavallo di Torino, non è assolutamente un caso; visionare per comprendere).
Ed ecco, allora, che acerrime spinosità dense di tensione cardiopalmica e tumefazione cerebrale aprono il sipario su viscerali bordate noise-prog-underground di taglio tanto sperimentale quanto efficacemente produttivo in termini di coinvolgimento catartico e propulsione animistica per mente e corpo. Un po' si richiamano sprazzi di Melvins e un po' ci si distacca da quella idea con tendenze demoniformi, ma solo per incunearsi in correlate e ulteriormente corrosive meschinità Jesus Lizard (Sixty millions blues, Necessary pain) che si fanno motore per catalisi Minor Threat e Black Flag al sapor di zolfo intriso con immersioni sludge (The regret song).
Solido, corposo e granitico è il percorso lungo binari post-hardcore sulla scia di stranianti amplificazioni heavy-doom e, dove possibile, psichedelie terminali di fattura oscura e irrazionale (Blissed out), ma alla pietrificazione del tutto concorrono anche diabolici esperimenti di montaggio (Birds sing a death song), malattie stoner-death-sabbathiane con disarmanti aperture ambientali (The light that failed e la decisamente perturbante Where the seeds can't take roots) che conducono verso sovrumane e interplanetarie trascendenze infestate da fiati di altri mondi e brodi primordiali di caos e deflagrazione interstellare di scuola Zu (Hybris e la mascellare Tear off the stitches).
Un album pieno di riferimenti ma, al contempo, costellato di impulsi personalmente muscolari e concettualmente intuitivi, apparentemente sconclusionato ma, in realtà, perfettamente costruito e misurato sulla pelle di chi non ha nulla da perdere e decide, una volta per tutte, di innescare la miccia delle intenzioni più individualmente oltretombali.
Mastodontico. Necessario. Madornale.
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La recensione Unsavory Impurities di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-05-15 22:32:31
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