Col loro primo album, i milanesi Facile vanno dritti al nocciolo della questione e sfornano un concept album carico di riferimenti, idee e proposte esistenziali
È decisamente un gran bel lavoro In my head, primo album ufficiale dei milanesi Facile e prima interessantissima – nonché ampiamente coinvolgente – opera intrisa di conoscenza e voglia di spingersi – fin dove possibile – oltre i pur fondamentali riferimenti di settore. È davvero un gran bel lavoro, In my head, perché non si limita a una dimostrazione di intenti puramente derivativa ma, al contrario, parte da dove ogni idea e ogni suono nasce per approdare su lidi emotivi e narrativi che mettono in tavola una serie di idee e di concetti talmente chiari da toccare le corde più delicate di chiunque abbia minimamente a cuore la propria esistenza, più per il suo versante aspirativo che per il suo risvolto materialmente fisico e professionale.
Nello specifico delle sue sonorità, l'album si districa molto abilmente tra groove ritmici sinuosi e trascinanti nel loro ondeggiare tra derive pseudo-post-reggae e coinvolgimenti alternative blues di elevata fattura (Graves), diramazioni alla Queens Of The Stone Age ma solo nelle cadenze e nel calore melodico tanto minuzioso quanto sinceramente predisposto all'incentivo emozionale (In my head) ed echi White Stripes che fanno capolino in dinamiche non lontane da una concezione di garage rock ampiamente aperta alle contaminazioni tanto da ballad quanto da caparbietà architettonica trainante (gran pezzo, What you got).
Ma subito arriva a farsi largo un sempre salvifico sentore di narrazione per suoni e parole tra impostazioni di ispirazione Muse mai prive di ulteriori soluzioni costruttive anche di taglio brillantemente floydiano (Flames), notevolmente amplificato dal genuino risplendere di gusto melodico beatlesiano e preziosa attenzione agli arrangiamenti (A breeze rises e Moonboy), così come da soffusi, delicati e fluttuanti tappeti sintetici funzionali alla causa (Rolling myself into you). Il tutto orientato verso una deflagrazione delle aperture psichedeliche che passa anche, sorprendentemente, attraverso incursioni elettroniche in sostegno blues (Bombs).
Niente male come struttura portante per una sorta di concept album incentrato su figure umane cosparse di solarità e contropartite catartiche che ascendono, cadono, risalgono la corrente e poi si soffermano a contemplare gli affetti interpersonali attraverso un prisma di purezza e tumefazione, caos e ordine ristabilito da un sé allo specchio, carnalità e spiritualismi, dogma e libertà di pensiero, ricordi e lotte contro un presente che rischia di non trasformarsi in futuro. Vita e morte, in poche parole. E scusate se è poco.
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La recensione In My Head di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-05-10 22:49:21
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